Legge e big data Libero software in libero Stato?
IL DDL QUINTARELLI Deve essere calendarizzato al Senato un progetto di legge che permetterebbe a ciascuno di usare programmi free per smartphone e tablet Invotabile per i lobbisti E il clima elettorale non aiuta
Anche i software vengono discriminati: sugli smartphone, i tablet, sui pc, ci sono ad esempio applicazioni preinstallate che spesso non si riesce a disinstallare. L’azienda che costruisce il dispositivo fisico sceglie per l’utente anche la struttura non fisica, i programmi che fanno funzionare il sistema o anche quelli per navigare online. Non si possono rimuovere e non si possono sostituire con altri. Una pratica che non implica spese dirette per il consumatore, ma che favorisce comunque il business delle aziende. Così, da un lato ci sono gli interessi economici, dall’altro i governi che cercano ostacolarli. In mezzo, giochi politici e confusione normativa.
PRESENTATO dal parlamentare di Civici e Innovatori Stefano Quintarelli, l’omonimo disegno di legge è già passato alla Camera dei Deputati. Il testo affronta diverse questioni: dalla neutralità del web (per semplificare, la possibilità per tutti di accedere a internet alle stesse condizioni) alla necessità di maggiore trasparenza negli accordi e nei contratti per i servizi.
L’articolo 4 è stato il più contestato: stabilisce che gli utenti di un qualunque sistema informatico abbiano tutti “il diritto di reperire in linea, in formato idoneo alla piattaforma tecnologica desiderata, e di utilizzare a condizioni eque e non discriminatorie software, proprietario o a sorgente aperta, contenuti e servizi leciti di loro scelta”. Insomma,non solo si può reperire online ogni tipo di software (tanto di proprietà di un privato quanto open source) ma anche che sia data la possibilità di rimuovere dai propri dispositvi programmi, servizi e contenuti (a meno che questi non siano necessari per il fun- zionamento o imposti per legge). Per giorni si è parlato di un disegno di legge che avrebbe bandito l’iPhone e la Apple dall’ Italia. L’ azienda della Mela, infatti, è famosa per le sue politiche di chiusura: non permette di eseguire sul proprio sistema operativo (iOS) programmi che non arrivino direttamente dall’App Store della società.
“LA QUESTIONE è molto più amplia – spiega Eugenio Prosperetti, avvocato specializzato in temi IT –. Nel testo on si parla solo di installazioni: si fa riferimento a qualsiasi caso in cui possa esserci un ostacolo all’utilizzo di un programma, un sistema. Anche un documento. Gli utenti hanno il diritto di reperire tutto online, non solo negli store, e di utilizzare software e contenuti”. Significa che i dispositivi devono consentire sempre agli utenti di farlo. Anche solo temporaneamente.
“Non si tratta quindi necessariamente delle App, né solo di installazioni, né di costringere gli store ad accettare applicazioni che non rispondano ai criteri”. Il secondo punto riguarda un iter più veloce per le sanzioni in caso di violazione della norma: “Oggi si può fare una segnalazione all’Antitrust che poi esamina se ci sono violazioni per i consumatori – spiega Prosperetti –. E come oggi, la violazione del divieto sarebbe sanzionata solo se si recasse un danno ai consumatori”. Prosperetti parla di una legge che guarda al futuro: “Oggi, quando ci sono gli aggiornamenti del software, vengono aggiunti nuovi servizi impossibili da disinstallare. E se in futuro qualcuno volesse imporli a pagamento? Ci si potrebbe trovare a non poterli neanche eliminare. È una nor-
TROPPI VINCOLI
Tutti i dispositivi dovrebbero consentire agli utenti di scegliere i sistemi che preferiscono. Ma non è così
LO SCONTRO
Da un lato la politica prova a mettere dei paletti, dall’altro c’è chi sostiene che tocchi all’Ue fare le regole
ma che chiarisce meglio un’interpretazione che già è prevista nel codice del consumo ma lo fa non tanto per le autorità, bensì per il singolo e i consumatori”.
Per lobbistie analisti, si tratta di una norma destinata a morire. La materia è molto complessa e, soprattutto, l’argomentazione principale riguarda le norme europee. Le definizioni non sarebbero uni- formi, i protocolli indicati alla base delle reti Internet non sarebbero completi e il provvedimento sarebbe fermo per scelte politiche. Ammettono che sia una norma di principio, ma ritengono che presenti diversi problemi da un punto di vista tecnico. “Riteniamo che non ci sia un solo motivo che giustifichi l’adozione di leggi particolari italiane per disciplinare un mercato che è concorrenziale e di dimensione europea e, anzi, globale – ha detto ad esempio Confindustria digitale –. La neutralità della rete è assicurata dalle norme comunitarie e dai poteri di Agcom”.
IMPOSSIBILE, quindi, imporre una legge del genere in una dimensione nazionali. “Gli app store – ha spiegato però Quintarelli – sono nazionali: si acquista la versione italiana delle app, i contratti sono in italiano, l’offerta è specifica per l’Italia, il diritto d’autore sugli store è di competenza nazionale, la tutela dei consumatori è competenza nazionale. Nel caso specifico, poi, nelle condizioni contrattuali c’è persino scritto che l’App store italiano di Ap- ple può essere usato solo in Italia ”. Queste norme, spiega chi fa gli interessi delle aziende o le affronta l’Unione Europea oppure sono inutili: gli interventi dei singoli stati si prestano a buchi normativi. Le multinazionali del web, infatti, spesso non hanno strutture fisse in Italia ma operano dai loro quartier generali, seguendo le leggi del posto in cui si trovano. Inoltre, i contratti per i diritti sono firmati con la casa madre. Il principio su cui operano è questo: se ogni Paese introducesse una normativa specifica (che, oltretutto, le grandi aziende riuscirebbero sempre in qualche modo a eludere) significherebbe dover avere un modello di business diverso per ogni Paese. Una prospettiva che preferirebbero evitare.
IL PROBLEMA, oggi, è anche il clima elettorale: mutano i governi, mutano i rapporti e con essi l’appoggio delle aziende alle varie norme. Quintarelli, da sempre appoggiato anche dalla maggioranza o comunque mai completamente osteggiato, rischia di trovarsi solo. “Il fine della legge può apparire giusto, ma se applicata solo in Italia può produrre una distorsione di mercato enorme e incomprensibile” aveva detto il dem Sergio Boccadutri. “Per le piattaforme non ci sono regole in Europa. È vero. – ha poi detto Quintarelli dal suo blog – Ma allora, il Parlamento non dovrebbe fare nulla, sia perchè in un caso c’è una norma Europea, sia perchè nell’altro non c’è. Mi pare abbastanza evidente che l’unione degli insiemi in cui stanno i casi ‘ci sono norme europee’ e ‘non ci sono norme europee’ è l’insieme Universo. Ma allora, di cosa dovrebbe occuparsi un Parlamento?”