“El cuerno de la buena suerte” incompreso
La mia paura di volare è nota... Non ai poliziotti Per il viaggio a Santo Domingo un amico mi regalò un portafortuna, che però alla dogana scambiarono per “un porta droga” E spiegarmi non fu semplice
ntendiamoci, se tocca volare, volo. Certo, a bordo non parlo molto. Ma non prendo neanche la mano dell’uomo che mi siede accanto sperando sia comprensivo. Vivo il mio panico con misura e dignità. Questa mia ormai cronica apprensione nei confronti dello staccarsi da terra per un tempo continuativo (se salto non ho problemi) mi ha esposto al ludibrio da parte di gente ingenerosa, ma anche a grande comprensione e affetto da parte di amici gentili. Uno di questi, consapevole della problematica, alla vigilia di un volo transoceanico che in 13 ore mi avrebbe portato a Santo Domingo, cioè tachicardia con s ub
woofer percepibile a sei metri, mi regalò un grosso corno rosso portafortuna corredato all’interno di gobbetto dorato dondolante. Svitavi la corona, toglievi il supercorno e appariva il gobbetto dondolante che potevi scuotere o stropicciare tra indice e pollice o pregare, insomma quello che suggerisce la paranoia. Ringraziai l’amico e forte di questa protezione ultraterrena garantita affrontai la trasvolata che, non so se grazie al gobbetto, finì con un bell’atterraggio con applauso nella Repubblica Dominicana.
TUTTO BENE? Non proprio: alla dogana, i miei due eleganti compagni di vacanza con i loro bei trolley jet-set passarono agevolmente, a me che viaggiavo con lo zaino ideologico-postfrikkettone sventolarono in faccia un tesserino dell’Interpol e mi chiesero di seguirli. Erano due, grossi, scuri e pelosi, uno pareva Zapata e non rispondeva alle mie domande querule.
Lo stanzino dove mi fecero accomodare era largo poco più di una cabina telefonica e il muro scrostato non prometteva. Mi dissero di spogliarmi e lì non deponeva bene. In un lampo mi passò davanti agli occhi tutta la cinematografia carceraria degli ultimi 30 anni, primo tra tutti ovviamente Fuga di
Mezzanotte, la scena in cui, vabbè. Erano grossi. Ma andò bene, potei tenermi le mutande ed evitare esplora- zioni prostatiche. Però restavo uno quasi nudo davanti a due grossi e cupi. Mi chiesero se trasportavo fumo, coca, oppio e altre sostanze per le quali mi avrebbero abbattuto lì sul posto. Ma ero sereno, io non fumo manco il tabacco, mi fa tossire. Glielo dissi e loro presero il mio zaino e lo rovesciarono in terra fino all’ultimo pettinino. Il gringo mentiva? Là sono tutti gringos. Frugarono accuratamente coi piedi tra le mie dotazioni da viaggio, ma ero tranquillo, pulito come una toilette di un’autostrada tedesca. Né potevano metter- mi niente in tasca e poi chiedermi soldi, gli slip da bancarella che compro io non hanno tasche.
Poi apparve il supercorno. Lo sollevarono con stupore e cautela dipinti sotto quelle sopracciglia, che Elio al confronto è uno glabro. Sospettosi mi chiesero cosa fosse. Ora, io lo spagnolo lo mastico un po’, arrivai pertanto a illustrare più o meno decentemente i concetti di
timór de lo avión e el cuerno de la buena suerte cuentra el timór de lo avión.
Per intenerire aggiunsi mentendo che era un regalo de mi madre( lo so, suona più romano che madrileño). Uno dei due si stava per accontentare o forse s’era rotto i coglioni, insomma vidi un fuggevole lampo di umanità in quegli occhi di secondino, quando l’altro, agitando el cuerno sentì che era cavo e che qualcosa si muoveva al suo interno. Mi diede un’occhiata del tipo “se non t’abbiamo inculato prima, lo facciamo adesso” e cominciò a svitare mentre l’altro portava la mano alla fondina. Ma ero tranquillo, io. No droga. Gobbetto. Esattamente quello che l’orco n°2 mi sventolò sotto il naso chiedendomi che cazzo era (questo lo capii).
Ho già detto che lo spagnolo lo mastico, ma “il gobbo porta fortuna, se tocchi la gobba non ti succede niente” era troppo per le mie conoscenze dell’iberico. Si tu
tuca( Raffa, grazie!) la gueba
(la gueba ?) non sortiva alcun’effetto, contra la mala
suerteera ok, ma sempre alla gobba del gobbo del cazzo dovevo tornare, là in mutande, con quei due bruti che man mano mutavano espressione, dal minaccioso, al perplesso, alla commiserazione. Sulle loro fronti basse apparve come una lu- minosa al neon “Questo italiano è un coglione”.
MORMORANDO qu a lc os a che capii benissimo buttarono via il gobbetto dorato semovibile e se ne andarono, lasciandomi mezzo nudo nel bugigattolo a raccattare libri, dentifrici e calzini.
Quando uscii dall’ae roporto trovai i due col trolley ad aspettarmi, seccati perché ci avevo messo tanto. Gli raccontai l’accaduto e tirarono un sospiro di sollievo, perché loro, eleganti, non ideologici, nei bei trolley jet-set un par de canne ce l’avevano. E quegli infami risero.
I controlli in aeroporto Frugarono tra le mie cose, apparve il supercorno. Lo sollevarono con stupore dipinto sotto le sopracciglia, che Elio al confronto è uno glabro STEFANO DISEGNI
‘Si tu tuca (Raffa, grazie!) la gueba (la gueba?)’ non sortiva alcun effetto con quei due bruti dalla fronte bassa