La Procura del Nazareno
Nel Paese dei mille balzelli, nessuno è disposto ad accettare nuove imposte. Ma per una faremmo volentieri un’eccezione: la tassa per chi nomina Falcone o Borsellino invano, nella comoda certezza che gli interessati non possano smentirlo né denunciarlo per appropriazione indebita. Tassa da estendere agli imputati e condannati che si paragonano a Enzo Tortora. L’altroieri il Csm ha nominato il nuovo capo della Procura più grande d’Italia: quella di Napoli. I candidati finalisti erano due, con 3 voti a testa in commissione: Federico Cafiero de Raho, napoletano, 65 anni, corrente centrista di Unicost, ex pm a Napoli e ora procuratore capo a Reggio Calabria; e Giovanni Melillo, foggiano, 57 anni, corrente progressista di Area, ex pm a Napoli, ex consigliere giuridico del presidente Ciampi e poi capogabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando nei governi Renzi e Gentiloni dal 2004 all’aprile scorso. Curriculum alla mano, fra i due non c’era partita: De Raho ha 7 anni più di Melillo e, a differenza di quest’ultimo, si è sempre occupato di camorra e di ’ndrangheta e già svolge le funzioni di procuratore. Qualcuno ha sostenuto una sua presunta incompatibilità per via di un figlio adottivo avvocato a Napoli, con cui non ha rapporti da 20 anni: ma questo non gli impedì la nomina a procuratore aggiunto, e casi ben più seri sono stati superati dal Csm che comunque, se avesse ritenuto questo insormontabile, avrebbe dovuto stoppare de Raho al momento della domanda.
Molto più incompatibile avrebbe dovuto essere Melillo. Il quale, oltre agli handicap dell’età inferiore, della minor esperienza e della carenza di titoli, è stato fino a tre mesi fa il braccio destro di Orlando, non solo il Guardasigilli di Renzi e Gentiloni, ma pure commissario del Pd napoletano. Inutile aggiungere quanto fosse inopportuno che un magistrato fedelissimo dei governi del Pd, non scelto per concorso, ma cooptato per affidabilità politica, andasse a guidare la Procura che più grane ha creato al vertice Pd scoperchiando lo scandalo Consip. Infatti, per evitare rapporti incestuosi fra giustizia e politica, ma anche sospetti di parzialità (il magistrato non deve solo essere, ma anche apparire indipendente), Area chiede da anni che le toghe “fuori ruolo” in incarichi ministeriali non siano nominate in posti direttivi per almeno un anno (“un congruo periodo di decantazione”) dopo il rientro in servizio. E un anno fa l’Anm chiese al Parlamento una legge in tal senso. Siccome però Melillo è dei suoi, Area ha deciso di fare un’eccezione per lui.