Thyssen, ancora liberi 2 tedeschi condannati
I manager devono scontare 8 anni per omicidio
■La sentenza definitiva è di 14 mesi fa. L’ad Harald Espenhahn e il consigliere d’amministrazione Gerald Priegnitz sono considerati colpevoli del rogo che nell’acciaieria di Torino uccise 7 operai nel dicembre 2007
Dalla sentenza definitiva è passato più di un anno. Ma i manager tedeschi della ThyssenKrupp condannati per la morte di sette operai nel rogo dell'acciaieria tra il 5 e il 6 dicembre 2007 sono ancora liberi. Omicidio colposo plurimo: 9 anni e 8 mesi per l'ad Harald Espenhahn e a 6 anni e 3 mesi per il consigliere d'amministrazione Gerald Priegnitz. La Germania non ha ancora provveduto ad arrestarli. Eppure da 6 mesi ha tutte le carte utili per farlo.
INSIEMEad Espenhahn e Priegnitz sono stati ritenuti responsabili della morte di Antonio Schiavone, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo e Bruno Santino, anche 4 dirigenti italiani. Loro reclusi nelle carceri di Torino e Terni. I due tedeschi no. “Dovevano andare in galera anche loro” afferma Rosina Platì, mamma di Giuseppe Demasi, morto a 26 anni il 30 dicembre 2007. La donna ricorda ancora quando Espenhahn è stato interrogato dai giudici della Corte d’assise di Torino: “È stato di pietra. Non sa cosa voglia dire perdere in un modo terribile un figlio giovane”. Per Laura Rodinò, sorella di Rosario, morto il 19 dicembre 2007 all’età di 26 anni dopo tredici giorni di agonia, “è assurdo che questi siano ancora fuori e i nostri ragazzi siano sotto terra”. Sottolinea un aspetto controverso: “In Germania comunque al massimo rimarranno in carcere per 5 anni”. Un accordo bilaterale prevede che un cittadino tede- sco condannato in Italia possa scontare la detenzione nel suo paese e che la durata non possa superare il massimo previsto dal codice penale tedesco, che per l’omicidio colposo ammonta appunto a 5 anni.
La giustizia italiana ha fatto quanto poteva. L’inchiesta – coordinata dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso – è stata rapida e l’intero procedimento è durato meno di 9 anni, poco se si considera che la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza obbligando la Corte d’appello di Torino a svolgere un nuovo processo concluso definitivamente il 13 maggio 2016. Subito dopo gli italiani si sono consegnati alla giustizia, mentre il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi ha avviato le procedure per incarcerare Espenhahn e Priegnitz. Tre giorni dopo la sentenza, il 16 maggio, la Procura generale ha emesso un mandato di arresto europeo. Il 25 maggio sono state diramate le ricerche dei due condannati, individuati in Germania, dove è stata inviata una prima parte degli atti, ma il 4 agosto la Procura generale di Hamm ha comunicato al ministero della Giustizia di Roma di essersi rifiutata di arrestare i due cittadini, facoltà concessa dalle norme che regolano il mandato di arresto europeo.
DI FRONTE a questo diniego da via Arenula hanno chiesto a Torino di attivare la procedura europea per l’esecuzione della sentenza nello stato comunitario di origine dei condannati. Bisognava però tradurre le motivazioni delle sentenze, quella d'appello e quella della Cassazione, depositata a dicembre. Le traduzioni sono arrivate un mese dopo e subito, il 17 gennaio scorso, gli atti sono stati inviati a Berlino.
Non soddisfatte, il 18 maggio le autorità tedesche hanno chiesto chiarimenti sulla contumacia dei due imputati: hanno avuto tutte le garanzie previste o no? Altro scambio di informazioni tra gli uffici ministeriali e la procura generale e ai primi di giugno da Roma sono partiti i nuovi documenti. Da allora la questione è in mano alla Procura generale di Hamm e alle autorità giudiziarie di Essen, ma non è ancora conclusa. Il procuratore generale Francesco Saluzzo si è impegnato col le famiglie delle vitime: “La sentenza deve essere eseguita”. “Ho parlato con il ministro Orlando - spiega il deputato Pd Antonio Boccuzzi, ex operaio della ThyssenKrupp sopravvissuto al rogo - mi ha detto che avrebbe dovuto incontrare il suo omologo tedesco e gli avrebbe parlato anche di questa vicenda, ma non ho avuto novità”. Da via Arenula assicurano che il caso è all’attenzione della direzione generale e che Orlando potrebbe incontrare Heiko Hess al prossimo consiglio europeo dedicato alla giustizia, il 12 ottobre.
L’ad in aula
La mamma di Demasi: “È stato di pietra Non sa cosa significhi perdere un figlio”