Il Fatto Quotidiano

La Sami: “Da Parigi soltanto silenzi sugli hotspot in Libia”

Guida l’Unhcr

- » GIAMPIERO CALAPÀ

“La Libia è dilaniata, bisogna fare presto”. Carlotta Sami, responsabi­le dell’Unhcr ( Alto commissari­ato Onu per i rifugiati) per l’Europa del Sud è in Sicilia, a Pozzallo. Ha visitato l’hotspot ieri mattina: “Una situazione di tregua, in questi giorni non c’è stato un numero eccessivo di sbarchi, stiamo ritornando sui numeri medi dello scorso anno, di sicuro non c’è un’invasione. Però c’è la necessità per l’Italia di contare su aiuti da parte degli altri Stati europei, soprattutt­o per quanto riguarda l’integrazio­ne, altrimenti le emergenze si ripeterann­o senza sosta nei prossimi anni”.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato per fine agosto la realizzazi­one di hotspot sul suolo libico con la vostra collaboraz­ione, è una buona soluzione?

Non abbiamo nessuna conferma ufficiale, non abbiamo ricevuto alcuna richiesta o proposta ufficiale da parte cuparci in Libia, ma dal 2014 il nostro personale internazio­nale non è presente per motivi di sicurezza. Agiamo con diversi partner e col personale libico.

Anche sulla costa?

Sì, già migliaia di persone sono bloccate dagli interventi della Guardia costiera libica e riportate a terra, dove nella migliore delle ipotesi siamo noi ad occuparcen­e. Ci sono situazioni di grande criticità, ad esempio le donne in- cinta al settimo o ottavo mese vengono buttate sulle barche dai trafficant­i che non vogliono il problema del parto. Questa è la quotidiani­tà. E c’è anche di peggio. Quante persone corrono rischi?

Posso dire che negli ultimi sedici mesi abbiamo tirato fuori da detenzioni inumane circa novecento persone. Abbiamo recentemen­te trasferito in un Paese terzo quattordic­i ragazze rapite da milizie, avevano subito ogni tipo di violenza. Oggi un ragazzino di sedici anni, arrivato qui a Pozzallo, mi ha raccontato di aver perso un fratello e una sorella: il fratello cercava di sottrarre la sorella ai ripetuti stupri dei loro carcerieri, sono morti entrambi, uccisi. Ecco, questa è la situazione sul terreno in Libia. Bisogna fare presto. Il vostro ufficio tripolino è sempre chiuso? Sì, era aperto dal 1991 ma dal 2014 è chiuso perché non ci sono, come dicevo, le necessarie condizioni di sicurezza. E, tutto sommato, al nord e sulla costa la situazione è migliore rispetto al Sud del Paese: è appena tornato, dopo dieci giorni di missione, il nostro Roberto Mignone. Nel Fezzan, alle porte del deserto lo scenario non consente quasi nessun tipo di intervento umanitario.

Un ragazzo di 16 anni mi ha appena raccontato di ripetuti abusi e violenze subite dalla sorella poi morta atrocement­e Il Paese è dilaniato, sono almeno 300 mila i cittadini libici sfollati con grossi problemi a vivere Siamo presenti a Tripoli dal 1991, ma ormai da tre anni il personale internazio­nale è fuori per motivi di sicurezza

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