Un reverendo, il Pr e la giornalista: gli sciacalli di Charlie
Il caso GardDopo la morte del bimbo malato il Times spulcia fra i personaggi che hanno aiutato i genitori a trasformare il dramma in un caso mediatico
Ora che Cha rli e è morto, che i dilemmi etici, i cavilli legali, le dispute mediche e le contrapposizioni ideologiche sono negli archivi dei giornali e nella memoria collettiva, è il momento delle domande scomode.
Chi ha gestito la campagna mediatica globale attorno alla vita del piccolo?
Chi ha sfruttato la determinazione e disperazione dei genitori Connie Yatese Chis Gard e ne ha tratto interviste esclusive, condivisioni social, dichiarazioni riprese dai media di tutto il mondo e, di conseguenza, soldi e popolarità?
Qualche risposta la fornisce il Times, in un’inchiesta apparsa ieri.
A TRASFORMARE la vicenda di Charlie da dolorosa questione privata in notizia globale è stata Alison Smit h- Sq u ir e , reporter freelance e titolare di una agenzia, la Featureworld, specializzata “nell’aiutare la gente comune a vendere la propria storia in sicurezza a giornali, riviste e televisioni nazionali”.
Sarebbero stati i Gard ad assumerla a dicembre, quando, già in conflitto con il Great Ormond Street Hospital sulle opzioni di cura per Charlie, hanno deciso che avevano bisogno di pubblicità per la raccolta fondi necessaria a finanziare il viaggio della speranza negli Stati Uniti.
Una volta assicurata l’esclusiva, la Smith-Squire ha guadagnato sia dalla vendita dei propri articoli che dalla concessione di materiale ai media inglesi: 100 pound solo per inviare una foto del bambino a un quotidiano, 1000 per una intervista televisiva. Da moltiplicare per decine di volte. Soldi pagati alla sua società. Finiti anche alla raccolta fondi? I dettagli del contratto non sono noti.
La giornalista si è difesa dicendo: “Non posso mica lavorare per beneficenza. Non faccio pagare i miei clienti, guadagno solo vendendo la storia ai media”. Perché è una “gio rna lis ta con una coscienza”, sottolinea sul sito.
A spodestarla ai primi di luglio, secondo quanto ha raccontato lei stessa al
Guardian, sarebbe stato il reverendo Patrick Maho
ney, presbiteriano americano, direttore della Christian
Defense Coalition, attivista pro vita, già arrestato per manifestazione illegale anti-aborto.
Mahoney sarebbe rimasto così colpito dagli appelli dei Gard da volare a Londra da Washington e farsi fotografare al capezzale di Charlie con i genitori.
NON PRIMA
di aver incontrato, ha dichiarato, un funzionario della Casa Bianca. Il reverendo avrebbe avuto un ruolo decisivo nel mobilitare la galassia di associazioni pro-vita negli Stati Uniti ed è probabile un suo ruolo, forse tramite il vicepresidente Michael Pence, sia nell’intervento del presidente Trump , che nell’emendamento passato al Congresso per concedere a Charlie la cittadinanza Usa. Al netto delle, supponiamo, buone intenzioni, un guadagno enorme in consenso e popolarità personali.
Infine, la figura più ambigua. Alasdair Seton-Marsden, manager inglese del settore marketing, già candidato trombato dell’Ukip per il municipio di Kensin- gton e Chelsea, portavoce dei genitori nelle ultime settimane. È stato lui, nella fase più drammatica della vicenda, quella della revisione del caso con il tentativo di verificare se vi fosse realmente spazio per un protocollo sperimentale a cui sottoporre il bimbo, a spingere per una strategia mediatica più aggressiva, a dichiarare che Charlie “era prigioniero dello Stato e del Servizio Sanitario”, a paragonare l’intervento dello Stato, ovvero dei giudici, al nazismo, a definire pubblicamente “cinico trucchetto” la notizia che lo staff dell’ospedale aveva ricevuto minacce di morte per essersi opposto alle richieste della famiglia.
Tanto da spingere i Gard a prendere le distanze da lui e dalle sue posizioni.
E a richiamare la Smith-Squire.
I punti Il tariffario L’ufficio stampa: 100 sterline per inviare una foto del piccolo, 1000 per una intervista