Il Fatto Quotidiano

“Ho doppiato tutti, Clooney e porno Ormai sono René”

L’INTERVISTA FRANCESCO PANNOFINO È la voce di grandi star di Hollywood. E il protagonis­ta di “Boris”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci

Luoghi comuni sull’essere romano: si arriva con almeno quindici minuti di ritardo al l’appuntamen­to, al momento dei saluti scatta una bella pacca sulla spalla, un retorico “mi dispiace per l’attesa”; le parole sono quasi sempre cadenzate, leggerment­e rallentate, un misto di indolenza cittadina e fatalismo atavico. Mai prendersi troppo sul serio, giusto il bicchiere di vino bianco (“aoh, ghiacciato, mi raccomando”) dopo il lavoro e soprattutt­o le frasi vanno di volta in volta accompagna­te con opportune parolacce. Il tutto può generare comicità o semplice simpatia, perenne.

Francesco Pannofino è un romano perfetto. Ma non è nato sotto il Cupolone. È l’emblema di come certa perfezione la si può acquisire, non c’è alcun obbligo ereditario, nihil difficile volenti, quando in gioco c’è la sopravvive­nza: “Sono arrivato a Roma a quattordic­i anni, i miei sono originari di Locorotond­o in Puglia, e io sono nato in Liguria. In una settimana ho capito come funzionava la città, compresi i suoi accenti”. Altrimenti? “Sarebbero stati cazzi amari”.

Senza appello.

Per forza! Era una continua presa per il culo, e non era tollerabil­e. Non sarei sopravviss­uto.

Erano botte...

Amore mio, sono cresciuto in strada con il pallone come colonna sonora delle mie giornate, quindi le ho prese e le ho date, spesso per difendere mio fratello. Però in quelle circostanz­e non mi sono mai piaciuto.

L’ultima volta? Lasciamo perdere, va... Allora accontenti­amo i fan: ha dichiarato che la serie tv “Boris” avrà un nuovo capitolo...

Ho sbagliato a dirlo e hanno un po’ forzato i titoli, in un ’ occasione pubblica ho solo sussurrato: “Spero di sì, credo ci siano buone probabilit­à”, e basta. Sto aspettando il cazziatone...

Di chi?

Di tutti, sono stato frettoloso. Mi è scappato, ma alla milionesim­a domanda su Bo- ris, uno può anche sbagliare...

Argomento fisso. Perenne.

Si sente affogato dal personaggi­o?

No, no, adoro René Ferretti (è il suo personaggi­o nella fiction)

Risposta di prassi...

Lo adoro veramente! Avere tra le mani, tra le corde, una figura come quella di René, è una fortuna rarissima. Non capita.

È il suo reale alter ego... Siamo quasi gemelli. Quando sono René non sento la fatica, ho il ruolo in pugno, sono io, non mi adatto neanche fisicament­e o nel linguaggio. Ciak, si inizia.

Nel quotidiano René Ferretti si impossessa mai di Pannofino?

Eccome! Un giorno mentre rimprovera­vo mio figlio, ed ero incazzatis­simo, urlo e urlo ancora, lui zitto, impassibil­e. A un certo punto apre la bocca e replica: “A papà nun te crede nessuno, è inutile questo atteggiame­nto, nun stai sul set e nun sei René”.

Uno a zero per lui...

No, mi sono incacchiat­o di più. Comunque quella battuta nascondeva una certa ammirazion­e.

Magari amplificat­a dai compagni di scuola.

Non lo so, mio figlio non mi racconta molto. Però una volta è stato fermato per un controllo stradale, e i due in divisa dopo aver letto la carta d’identità, hanno domandato: “Sei parente dell’attore?”. Sì, sono il figlio di Francesco. “A bello viè qua, famose ‘na foto”. Geniali.

Chissà anche lei quanti selfie...

Abbastanza, e mi piace pure. Il problema non sono gli scatti, ma le situazioni nate per via del doppiaggio (è uno dei più ricercati e bravi, nel suo carnet anche George Clooney e Denzel Washington). L’altro giorno ero alla stazione di Milano, prime ore del mattino, io un po’ rincoglion­ito. Fumavo. Passa un signore, mi guarda, si ferma e come fosse naturale, appoggia il suo cellulare al mio orecchio: “Mi scusi Pannofino, sono al telefono con mia moglie, la può salutare un attimo con la voce di Clooney?”

Un continuo... Senza esagerare, mica ho una popolarità alla Renzo Arbore o alla Roberto Benigni: qualcuno mi riconosce, altri no. Come dicevo, se mi chiedono una foto, mi fa piacere. Se poi ho fretta, indosso un cappello e via, passo inosservat­o. Oddio non sempre...

Qualcuno non ci casca?

In particolar­e uno steward della Ryanair: ogni volta, al controllo, mi ferma e con tono assolutame­nte serio, mi dice: “Lei, scusi... dove va? Sì, lei: prima di passare mi deve dire chi ha ucciso il conte...”. E io, con tutta la gente intorno, rispondo: “’ Sto cazzooooo!” ( è un celebre siparietto di Boris). “Prego, avanti il prossimo”. Ad altri è andata peggio...

A chi?

A Carletto De Ruggieri (altro protagonis­ta della fiction): lo incrociano per strada e gli gridano: “A mmmerdaaaa”.

Sono passati anni, oggi accadrà un po’ di meno.

Sì, ma succede. Anche perché lo passano in continuazi­one in television­e.

Lei si rivede?

Solo se incrocio gli episodi, nel caso qualche minuto mi soffermo sempre, ma senza esagerare, altrimenti uno rischia di scadere nel narcisimo puro, quasi onanismo mentale. Le puntate le so a memoria.

Il suo primo pubblico? Dentro casa e poi i compagni di classe. Però in assoluto non sono un bravo imitatore, ero solo più bravo degli altri, tutto qui. Superiore a me era Nino Taranto: ora è uno dei protagonis­ti di Zelig.

Cavalli di battaglia?

Carlo Verdone con il personaggi­o di Mimmo e Massimo Troisi. Ripeto: le mie erano mediocri interpreta­zioni. E poi ero timido. Quando le è passata la timidezza?

Con il teatro. Ottima terapia. E non servono per forza le dieci o quindicimi­la presenze in platea: per sentire l’ansia bastano anche solo tre persone sedute, in quel caso capisci cosa vuol dire stare

nel mare aperto delle emozioni, la necessità di controllar­si e rallentare la percezione dei secondi. Non teme le prime teatrali?

No, sdrammatiz­zo sempre, e penso: “Vabbè, me tocca

andà a lavorà”. E inoltre non sopporto i colleghi troppo eccessivi, quelli che si prendono sul serio, i posseduti dalla presunta aurea del martire votato alla sensibilit­à. Si sentono artisti. Per carità...

Infatti evito molti locali frequentat­i dagli attori. Sai che rottura. Magari le servirebbe per lavoro, si chiamano “pubbliche relazioni”. A me va bene così. Certo, se

È stata una rottura di palle insostenib­ile, andavo in iperventil­azione a causa dei fiati durante gli amplessi

LE VOCI A LUCI ROSSE Un grande, quando lo vedo sono felice, e con lui ammetto di non avere una struttura critica: amo tutto quello che fa

CARLO VERDONE

fosse utile con Carlo Verdone... Ancora Verdone.

Ma lui è un grandissim­o, quando lo vedo sono felice, e con lui ammetto di non avere una struttura critica: mi piace tutto quello che ha prodotto. Si è mai proposto per una parte in un suo film?

No, non sono in grado.

Non ha la faccia-tosta alla Haber...

Lui è lui, e può, è la sua cifra, e Alessandro è un mio caro amico. Lui si lancia. Se ci provo io, divento patetico. Ognuno deve mantenere il proprio passo. Ama la sua profession­e?

Di più. Sono super felice del mio lavoro, certo ho rischiato, nessuno ti garantisce un’occupazion­e, se non ti chiamano sei fottuto. Il telefono che non squilla...

Per fortuna è una situazione mai provata. Ho cominciato

a lavorare sin dai miei 19

anni, e non mi sono mai fermato. Metodico e pignolo.

Per niente. Anzi, ho un’avversione per i pignoli, la mia dote è la memoria, sono una scheggia e da sempre, già da quando andavo a scuola. Sul set improvvisa?

Se posso, no. Evito. Perché questa fatica? Se è scritto male cerco di adattarlo, altrimenti sto bene così. Se poi mi viene un guizzo, me lo sparo, ma non lo cerco per forza. “Boris” era scritto molto bene...

Specialmen­te il mio perso- naggio. E sono trent’an n i che leggo copioni, soprattutt­o per via del doppiaggio. Lei ha paragonato il doppiaggio al ping pong...

Ed è vero. Se gioco una settimana intera, alla fine divento fortissimo; stessa cosa con i film: è questione di allenament­o, di ritmo, di affiatamen­to. Vinicio Marchioni ha raccontato al “Fatto” di aver doppiato pure film porno... Anche io. Andavo il sabato mattina, lavoravo dalle nove alle quattro del pomeriggio, con pausa di mezz’ora per mangiare un panino. Alla fine beccavo 90 mila lire, e allora non erano poche, e con queste passavo week end indipenden­te, senza dover chiedere i soldi a mio padre. Si divertiva?

Una rottura di palle insostenib­ile, andavo in iperventil­azione a causa dei fiati du-

rante gli amplessi, e spesso avevo accanto una doppiatric­e decisament­e cozza ( brutta, ndr). Suo padre lo sapeva?

No, non lo informavo. Comunque già sei mesi dopo aver iniziato questa profession­e, guadagnavo più di lui. E lui?

Contento, perché era preoccupat­o per il mio futuro, era convinto che non mi andasse di studiare né di lavorare. In realtà non mi convinceva­no le prospettiv­e profession­ali pensate da lui. Insomma, era già un figlio indipenden­te...

A sedici anni, la domenica,

vendevo le bibite allo stadio, e grazie al mio compagno di banco: guardavo la partita della Lazio e guadagnavo qualche lira. Cosa studiava?

Istituto tecnico industrial­e per l’elettronic­a.

E abitava in via Fani, dove hanno rapito Aldo Moro...

Già. E quella mattina stavo per andare all’università.

Ha sentito gli spari?

Di più: ho visto proprio i morti a terra, ma non ricordo certe mie dichiarazi­oni di allora. Rimosso?

Non proprio. Qualche giorno dopo il sequestro venne a casa nostra un poliziotto graduato per prendere la testimonia­nza: però ho visto solo i morti, il subito dopo, le fasi calde mi mancano, ho ricostruit­o dopo le parti “inconsapev­oli”. Tipo?

Prima dell’università andavo sempre all’edicola, così quella mattina. Nel percorso

sono passato davanti ai terroristi nascosti dietro le siepi. E poi?

Compro il giornale, lo apro, in basso a destra si parlava della Juventus e della Coppa dei Campioni. Vedo la foto di Zoff e all’improvviso scoppia il bordello. Lei?

Fuggo dalla parte opposta, mentre corro vedo una vicina di casa, la prendo per mano “scappa, scappa” e la porto via con me. Le sere dopo ci ha ripensato?

Ho evitato. E poi era una stagione sociale e politica veramente particolar­e, di tensio-

ne niversità perenne. ancheHo lasciatope­r questo l’umotivo,perché none sottolineo­avevo molta anche,voglia Cosadi studiare. accadeva?

Se vano noni dolori,eri allineato, mentre io scatta- sono sempre moderato. stato uno di sinistra, E la il prendeva? padre-carabinier­e come

Carabinier­etifascist­a. Ha di lasciato sinistra siae an- me che mio fratello sempre liberi. Oggi è contento della sua profession­e?

È perplesso. Mentre mia madre è già entrata nel mondo dello spettacolo, già sa tutto, già capisce tutto... Come valuta la sua carriera d’attore?

Sono contento, va bene. A me basta avere un lavoro e i soldi per vivere, poi quello che viene in più... Oh, sono diventato più conosciuto a 48-50 anni, mica prima. Il doppiaggio può migliorare la prova dell’attore doppiato? Non deve migliorare né tantomeno peggiorare: deve solo essere a servizio del film, deve rendere comprensib­ile una pellicola, per chi non conosce l’inglese. Stop. Nessuna miglioria.

No. E poi cosa vuoi migliorare, parliamo di star come George Clooney o Denzel Washington. Al massimo devi essere alla loro altezza. Lei rimorchia come George Clooney?

Ma de che! L’unico periodo della mia vita nel quale ho trombato tantissimo, è quando con mia moglie abbiamo deciso di concepire nostro figlio. Per il resto... Per il resto?

Rimorchiav­o più da giovane, e poi non sono un lumacone di natura. Inoltre non mi piace l’idea di quelle che si avvicinano perché pensano di conoscere uno famoso, ma per favore! Mi sentirei come quelli che vanno a Cuba convinti di mostrare la loro arte amatoria... Uomo di sinistra con il mito di Cuba?

Non del tutto. E aggiungo: a me i regimi dell’Est mi hanno sempre fatto orrore, negli anni Ottanta sono andato nella ex Jugoslavia per lavoro, stavamo ancora all’Italia anni Cinquanta. Stessa cosa Praga o Varsavia. Però mi sento un po’ orfano dell’ideologia, cresciuto nella stagione di Berlinguer: morto lui, arrivederc­i... ammazza che caldo. Andiamo dentro, aria condiziona­ta?

Ma non ce penso proprio... (alza il braccio) “Scusa, me porti un altro bicchiere di bianco? Aoh, sempre bello ghiacciato...” Insomma, dicevamo?

Il sequestro di Aldo Moro Abitavo in via Fani, ero lì quella mattina. Ho sentito gli spari, e subito dopo ho visto i morti a terra

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Al centro sul set di “Boris”; a sinistra con Virginia Raffaele al Primo Maggio; a destra Carlo Verdone e George Clooney
Ansa/LaPresse Il cast completo Al centro sul set di “Boris”; a sinistra con Virginia Raffaele al Primo Maggio; a destra Carlo Verdone e George Clooney
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