Berlino: chiunque giochi, alla fine vince la Merkel
Il prossimo 24 settembre la Germania va al voto con tre certezze quasi assolute. La prima è che, salvo cataclismi, Angela Merkel succederà a se stessa alla cancelleria di Berlino. La seconda è che l’onda d’urto della destra xenofoba che scuote l’Europa sarà piuttosto contenuta: la Alternative für Deutschland farà sì il suo ingresso al Bundestag, ma rischia di diventare non il più forte partito di opposizione, ma il più debole. La terza è uno scenario inedito, almeno nella storia recente del “paludato” panorama politico tedesco: in Parlamento saranno rappresentati sei movimenti (la Cdu della Merkel e la formazione “gemella” bavarese di Horst Seehofer costituiscono l’Unione). Solo nel 1949, quando non era ancora stata introdotta la soglia di sbarramento, ce n’erano di più, addirittura nove. Più di una legislatura si è consumata con soli tre partiti: in quella attuale sono quattro.
QUANDO il voto è federale, la Germania si ritrova. E negli ultimi 12 anni si è stretta attorno alla sua cancelliera, oggi 63enne, unica donna dopo sette primi ministri maschi. Con il prossimo mandato supererà come longevità Konrad Adenauer, il politico della ricostruzione, rimasto in carica 14 anni e un mese dal settembre del 1949 all’ottobre del 1963. La Merkel è a capo del governo dal novembre del 2005, riuscirà solo ad avvicinare Helmut Kohl, il leader della riunificazione, scomparso poco più di un mese fa, che ha guidato il Paese 5.870 giorni. La sua delfina non lo supererà per una questione di calendario, ma ha già alle spalle tre mandati completi senza inciampi parlamentari.
Il carisma crepuscolare della cancelliera che “strega” gli elettori, per gli alleati è l’abbraccio di una mantide religiosa: chi governa con lei perde. Dopo il suo primo mandato la Spd era precipitata dal 34 al 23% e dopo il secondo i liberali della Fdp non erano nemmeno riusciti a superare la soglia di sbarramento del 5% e sono attualmente fuori dal Bundestag. Oggi i socialdemocratici si sono aggrappati a Martin Schulz, l’ex presidente dell’Europarlamento: l’uf ficializzazione della sua candidatura aveva fatto lievitare il partito nei sondaggi fino genda 2010. Il paradosso è che quel programma di riforme fu varato da socialdemocratici e Verdi inimicandosi i sindacati. Oggi Schulz lo vuole (comprensibilmente) rivedere.
FOLLA