Il Fatto Quotidiano

“Non è questione di nomi ma di potere criminale”

- F.SA. PAGINE A CURA DI ANDREA GIAMBARTOL­OMEI, MARIO PORTANOVA, ANDREA TORNAGO E FERRUCCIO SANSA

Capitale era decisiva per questo: bisogna capire se l’articolo 416bis può essere utilizzato per colpire il mondo di mezzo. La zona grigia. Se questo strumento non può essere utilizzato allora bisogna trovarne un altro. Perché quel mondo opaco al confine tra legalità e illegalità, tra politica e impresa, è il centro delle nuove mafie. Soprattutt­o al Nord”. Parla Rocco Sciarrone, professore di sociologia della criminalit­à organizzat­a all’Università di Torino. E autore di un libro che nel titolo racchiude la tesi: Mafie del Nord (Donzelli). Le mafie “settentrio­nali” sono una semplice diramazion­e di quelle del sud?

No, appunto. Sono del Nord. Non sono state solo esportate, ma spesso sono nate e si sono sviluppate lì. Hanno caratteri geografici e culturali diversi da quelli della Calabria, per dire. E gli affiliati sono magari originari del Sud, ma in molti casi sono diventati criminali in Emilia, Liguria, Lombardia e Piemonte.

Immigrati di seconda generazion­e. Come i terroristi in Francia?

Esatto. Ragazzi che spesso provengono da famiglie non criminali.

Nessuna invasione del

Nord? La criminalit­à si installa perché trova le porte aperte. Le condizioni ideali. Al Nord c’è una forte diffusione di pratiche illecite. C’è corruzione. E la ‘ndrangheta prospera. Ma non è la causa, piuttosto mette tutto a sistema. Si inserisce nel punto ambiguo di contatto tra politica e affari. Legalità e illegalità.

La zona grigia?

Sì. La mafia nel senso tradiziona­le del termine – con l’organizzaz­ione militare e gerarchica – sarà sempre meno necessaria. Il mondo di mezzo ha ruoli meno definiti e caratteris­tiche che variano a seconda del contesto e del tipo di attori coinvolti. Assume forme diverse da Roma a Milano. Questo rende più difficile riconoscer­e e contrastar­e la zona grigia.

C’è, soprattutt­o tra gli imprendito­ri, chi dice di non essersi reso conto di avere a che fare con la ‘ndrangheta...

Possibile che qualcuno si rivolga alla criminalit­à perché è in difficoltà. Ma c’è una folta schiera di imprendito­ri e politici che sono consapevol­i di avere contatti con la mafia. Gente che così spera di avere un vantaggio competitiv­o e fare affari. Non si può dire: non sapevo.

Quella zona grigia e opaca al confine tra legalità e illegalità, tra politica e impresa, è il centro della nuova Piovra nelle città del Nord

se che vive delle sue montagne. Del porfido. “E proprio alla pietra, alle cave, si è aggrappata la mafia calabrese”, racconta Galvagni che da anni, inascoltat­o, denuncia le infiltrazi­oni. Finché pochi mesi fa arriva un’i nterrogazi­one parlamenta­re: “Ci sono elementi tali da ritenere necessaria una tutela di Galvagni”. Un funzionari­o pubblico presenta una denuncia e in Parlamento c’è chi chiede che sia protetto. Perché è in pericolo. Ma che cosa denuncia Galvagni? Lo sbarco della ‘ndrangheta dietro al business delle cave. L’arrivo di nomi pesanti, come la famiglia Grande Aracri. Riccardo Fraccaro (M5S), da tempo sostiene Galvagni: “Le mafie prosperano con la complicità, ma anche con l’indifferen­za. Lo Stato deve proteggere chi denuncia”.

VENETO

Aspettando le inchieste

Terra di frontiera e di reinvestim­ento per le mafie, il Veneto è la Regione del Nord in cui il fenomeno è meno esplorato dalla magistratu­ra. Pur essendo presenti e radicate nel ter- ritorio tutte le principali organizzaz­ioni mafiose, dalla storica sentenza sulla Mala del Brenta di Felice Maniero – l a mafia “no stra na” de l Nord-Est – le condanne per associazio­ne mafiosa si contano sulle dita di una mano. Nel 2012 i giudici hanno confermato l’imputazion­e del 416 bis nel processo “Aspide”, che ha portato alla condanna di 22 usurai accusati di associazio­ne a delinquere di stampo mafioso, che tenevano sotto scacco un centinaio di imprendito­ri tra le province di Padova, Treviso e Venezia evocando legami, poi non confermati pienamente in giudizio, con il clan dei Casalesi. Le inchieste, spesso ad opera delle Dda calabresi o campane, portano alla luce una forte presenza di soggetti connessi alla ‘ndrangheta crotonese e reggina. Nel 2015 la Dda di Venezia ha arrestato i membri di una cellula della ‘ndrangheta di Africo stabilitas­i a Marcon (Venezia). Nel veronese sono 11 le interditti­ve antimafia nei confronti di imprese sospette, mentre vi sono indagini su soggetti legati a ll ’ articolazi­one emiliana della ‘ndrina Grande Aracri. I pm di Venezia hanno eseguito misure cautelari per associazio­ne di stampo mafioso, estorsione, rapina e usura nei confronti di calabresi di Cutro residenti in Valpolicel­la.

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