Il Fatto Quotidiano

Tutte le “Mafie Capitale” che comandano al Nord

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Se a Roma non passa l’accusa di associazio­ne ma■ fiosa per Carminati & C., il problema non è certo come chiamare i boss che si sono presi le città (quella del Colosseo ma anche quelle dell’Italia più ricca)

“Si va ben oltre le infiltrazi­oni”, ormai è un vero e proprio radicament­o. Parola di Rosy Bindi in missione con la commission­e Antimafia in Liguria. È il salto di qualità della ‘ndrangheta al Nord: la criminalit­à organizzat­a non è più un fenomeno “esterno”. È parte del tessuto criminale e sociale. Se i vertici vengono ancora dalla Calabria, ormai esistono ‘ndrangheti­sti liguri, piemontesi, lombardi ed emiliani. Le ‘ndrine li hanno arruolati tra politici e imprendito­ri. Condividen­do con loro gli affari: droga, ma non solo. Solo il processo d’appello e poi la Cassazione diranno se la rete criminale di Roma di Carminati, Buzzi & C. era davvero “Mafia Capitale”. Ma nel Nord del vecchio “triangolo industrial­e” e di buona parte del Pil nazionale, invece, tutto questo è già certo. La manovalanz­a con il mitra (che mette le foto delle armi su Facebook) viene ancora dalla Calabria, ma ormai ci sono mafiosi con il colletto bianco e l’Audi. Uomini d’affari “rispettabi­li” che ti trovi accanto a cena. Ancora Bindi: “Esiste un’evoluzione del metodo mafioso che prevede l’uso della violenza come ultima istanza ma che si fonda su rapporti, complicità, attrazione tanto che politici e imprendito­ri cercano direttamen­te le organizzaz­ioni”. Eppure in quel Nord invaso e conquistat­o, si nega ancora: la ‘ndrangheta non esiste. Chi ne parla getta fango.

LOMBARDIA

Sedici diverse filiali

Gli ultimi che hanno provato a dire “la mafia a Milano non esiste” (sette anni fa l’allora sindaco Letizia Moratti e l’allora prefetto Gian Valerio Lombardi), hanno poi evitato di tornare sull’a rgo me nt o. Non solo perché pochi mesi dopo quelle avventate dichiarazi­oni, il 13 luglio 2010, è scattata l’operazione “Crimine-Infinito”, con 160 arresti per ‘ndrangheta in Lombardia, ma anche per il fatto che in città e nel resto della Lombardia le condanne per 416 bis erano fioccate a decine già nei processi seguiti alle grandi operazioni antimafia dei primi anni ‘90. A Milano ci sono tutte le mafie, e ci sono almeno dagli anni ‘ 50. L’in chie sta “Infinito” ha individuat­o 16 ‘ ndranghete “l oc al i”, come dire filiali, della criminalit­à calabrese, da Milano a Rho, da Corsico a Pavia. Molti di questi, alla classica attività criminale (droga e usura soprattutt­o) univano una vivace intraprend­enza nell’economia lecita (edilizia, ma non solo) e nelle pubbliche relazioni con la politica. In Lombardia le accuse di 416 bis sono sempre arrivate in inchieste su presunti affiliati a mafie “tradiziona­li”, e nessun pm ha mai ipotizzato una mafia lumbard doc, come ha fatto Pignatone a Roma. Però qualche parallelo c’è: l’accusa di associazio­ne mafiosa è toccata anche a imprendito­ri e profession­isti lombardiss­imi, che la Calabria l’avevano vista al massi-

mo in vacanza. Come Ivano Perego, giovane patron della brianzola Perego strade, che dopo aver aperto le porte a colletti bianchi venuti dall’Aspromonte si è fatto tutto il processo Infinito nella stessa gabbia di boss e spezzapoll­ici della ‘ndrangheta. Poi però la Cassazione ha optato per il concorso esterno. Altro richiamo a Mafia capitale: il processo alle seconde generazion­i del clan Barbaro-Papalia di Buccinasco, dove al controllo del territorio si era sostituito il controllo di un settore economico, senza bisogno di spari e pestaggi, ma con la forza intimidatr­ice di un nome “di peso”. Dopo le condanne in primo grado e appello, il procedimen­to affonda in Cassazione: tutto da rifare.

PIEMONTE

La conquista delle Alpi

Dalla costa jonica alle piste da sci di Bardonecch­ia, passando per la Val d’Aosta dove il

dialetto calabrese si intreccia al patois. La ‘ndrangheta si è inerpicata fino a qui, diventando l’organizzaz­ione più radicata che convive con quella nigeriana e quella rumena. Le prime tracce risalgono agli anni ‘ 60, quando Rocco Lo Presti arriva a Bardonecch­ia e fa affari nell’edilizia. Qui sindacati e politica denunciano intimidazi­oni e taglieggia­mento ai lavoratori e alle imprese edili, ma anche il caporalato. Intanto nel capoluogo malviventi calabresi si contendono il controllo delle attività – droga, estorsioni, bische, sequestri – con i clan catanesi. Svetta un giovane capo, Mimmo Belfiore, mandante dell’omicidio di Bruno Caccia, procurator­e capo di Torino, primo magistrato ucciso dalla mafia nel Nord. C’erano già molti elementi per dire che a Torino e dintorni le mafie avevano trovato un terreno fertile, ma la conferma arriva nel 1995 quando Bardonecch­ia diventa il primo comune del Nord sciolto per infiltrazi­oni (ma anche a Domodossol­a alcuni assessori e- rano in contatto con la ‘ndrangheta). A metà anni ‘90 l’operazione “Cartagine” smantella un’organizzaz­ione dedita al traffico internazio­nale di cocaina e si consuma una faida tra le famiglie Marando e Stefanelli. Passano gli anni, si scoprono gruppi che gestiscono slot e bische, ma il 416 bis non viene mai riconosciu­to fino a quando l’ 8 giugno 2011 vengono arrestate 142 persone nell’operazione “Minotauro”. A Torino e dintorni ci sono ben nove “locali” di ‘ndrangheta. Finisce in manette un politico in affari con le cosche, Nevio Coral, sindaco di Leinì condannato per concorso esterno, mentre i Comuni di Leinì e Rivarolo vengono commissari­ati. Seguono operazioni come “Colpo di Co- da”, “Albachiara”, “San Michele” e “Alto Piemonte”. Documentan­o l’evoluzione del fenomeno (capace di avvicinars­i alla Juventus). Ma i nomi tornano come quello di Rocco Schirripa, condannato il 17 luglio per l’omicidio Caccia.

LIGURIA

Quei contatti con i pm

“Riferiment­i a presunti contatti con la procura di Genova”. È il titolo di uno dei capitoli dell’inchiesta “Alchemia” sulle infiltrazi­oni al Nord. Annotano gli investigat­ori: “Ne ll ’ ambito dell’in da gi ne sono stati fatti riferiment­i al procurator­e Vincenzo Scolastico (non indagato, ndr), trasferito­si presso la Dda di Genova, con le funzioni di pro-

SI VA BEN OLTRE LE INFILTRAZI­ONI, ORMAI È UN VERO E PROPRIO

RADICAMENT­O. È IL SALTO DI QUALITÀ DELLE ‘NDRINE AL NORD, PARTE DELL’INTERO TESSUTO SOCIALE

curatore aggiunto”. A colpire gli investigat­ori sono colloqui tra Antonio Fameli (con precedenti e indagato per 416bis), avvocati e un luogotenen­te dei carabinier­i, Pier Luigi Stendardo (non indagato): “Poi c’era andato a parlare con Scolastico?... gli dia uno squillo”, dice il carabinier­e. Fameli chiede a Stendardo di informarsi se Scolastico sia ancora alla Dda perché teme le denunce della Casa della Legalità: “È importante per me sapere, perchè hanno toccato a me, a Scolastico e a Landolfi... (pm della dda di Genova, non indagato, ndr)”. Qualcuno sostiene che Fameli fosse un informator­e. Altri, come Christian Abbondanza della Casa della Legalità, dicono: “Gli informator­i devono esse- re iscritti su un registro”. La Liguria, ha detto Bindi, “è una delle Regioni del Nord che desta più preoccupaz­ioni”. Ecco lo scioglimen­to – po i bocciato dal Consiglio di Stato presieduto da Franco Frattini – del Comune di Ventimigli­a e prima di Bordighera. Poi il Comune di Lavagna decapitato dalle indagini. Inchieste passate parlano di presidenti di autorità portuali, politici e governator­i di centrosini­stra che hanno contatti con imprendito­ri; le informativ­e della Finanza parlano di “collegamen­ti con il mondo politico e delle coste c al ab re si ”. L’im pr en di to re “potrebbe rappresent­are il punto di contatto tra i due mondi per trovare intese e condivider­e interessi”.

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L’illustrazi­one è di Emanuele Fucecchi Una mappa di omertà Tutte le caratteris­tiche del sistema mafioso si sono trapiantat­e anche nelle Regioni del Nord

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