Le tribù dei trasformisti sulla zattera di Silvio B.
In un crescente affollamento di onorevoli in cerca ■ di un seggio al prossimo giro e il conseguente “blocco degli sbarchi” decretato dall’ex Cav., i pochi fortunati tornati a casa sono additati come privilegiati
Auricchio, che in questo caso non è il noto provolone ma un senatore, e di nome fa Domenico, e comunque sono entrambi napoletani, provolone e senatore, è stato ricevuto la settimana scorsa da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli, la storica residenza privata dell’ex Cavaliere nella Capitale. Pacche sulle spalle, abbracci, rassicurazioni a vicenda sulla salute, che è sempre la cosa più importante. “Presidè che bello rivederla, finalmente”.
Forte cadenza napoletana e un po’ di fatica nella costruzione sintattica, il senatore Domenico Auricchio è dell’entroterra vesuviano, di Terzigno, dove è stato sindaco condannato e rimosso per aver fatto assumere il nipote nel suo staff di allora. Due anni fa, con profondo turbamento della coscienza, Auricchio ritenne defunto politicamente il berlusconismo e sposò la causa renziana di Denis Verdini. Indi, si è pentito e ravveduto quando B. è risorto nuovamente. Così ha mollato Ala e ha bruciato tutti sul tempo, alla fine di giugno. Prima, cioè, che esplodesse l’ultima ondata “migratoria” parlamentare provocata dall’addio dell’alfaniano Enrico Costa al governo e a Ncd.
Un fenomeno che ha costretto lo stesso B. a fermare il controesodo e a mettere in campo alcuni “barconi” delle “Ong” di centro.
La carica dei cinquento: un record mondiale
Nella storia della Repubblica questa è la legislatura parlamentare numero diciassette e registra un record unico nell’intero orbe terracqueo: oltre cinquecento cambi di casacca. Il primato mondiale del trasformismo: 502 passaggi, al momento, che riguardano 324 parlamentari, 191 deputati e 133 senatori.
In proporzione, considerato che Palazzo Madama ha la metà del seggi di Montecitorio, rispettivamente 315 e 630, al Senato è un andirivieni costante nel tempo. Qui ci sono ben undici gruppi iscritti, con altri sottogruppi all’interno. Una babele di sigle, nonostante il bipolarismo. Quattro le cause delle migrazioni: la liquefazione del montismo; la decadenza di Berlusconi e l’uscita di Forza Italia dal governo Letta; l’ascesa e la caduta di Matteo Renzi; il ritorno sulla scena dopo le ultime amministrative dell’ex Cavaliere.
Il pentapartito e i suoi eredi
In questo caos calmo, si stagliano le figure di campioni dell’eterno marpionismo democristiano. Come Roberto Formigoni, già andreottiano e ciellino, poi berlusconiano, quindi alfaniano. Oggi Formigoni, condannato in primo grado per corruzione, manovra su più tavoli per non disperdere il suo patrimonio di potere, voti e fedelissimi. Un occhio alle prossime regionali in Lombardia, per inserire i suoi uomini nelle liste del governatore Maroni. L’altro a Roma dove spera di accasarsi con il centrodestra di Stefano Parisi, mai decollato a dire il vero. Dalla Dc al vecchio pentapartito della Prima Repubblica il passo è brevissimo. Francesco Colucci detto Ciccio ha 85 anni e dieci legislature. È stato socialista e berlusconiano per finire intruppato nel l’alfanismo di governo. Sta cercando, come molti suoi colleghi. Con un vantaggio: “Ciccio ha un rapporto personale con Berlusconi”. Luigi Compagna, invece, è nato liberale del Pli e solo in questa legislatura ha cambiato dieci gruppi.
“Che fortuna, vado direttamente in FI”
In questo crescente affollamento di senatori e deputati in cerca di un seggio al prossimo giro e il conseguente “blocco degli sbarchi” d ecretato da Berlusconi, i pochi fortunati tornati in azzurro appena in tempo sono additati come privilegiati. Detto del tempestivo Auricchio, il prezioso elenco si apre con il senatore pugliese Massimo Cassano. Da circa due mesi Cassano aveva lasciato Alfano e ottenuto il perdono berlusconiano: “Torno nella casa in cui sono cresciuto”. Però non si decideva a dimettersi dalla comoda poltrona di sottosegretario al Lavoro. Se n’è andato dal governo solo il 21 luglio scorso per non farsi risucchiare dal controesodo. Un clamoroso ritorno alla casa del padre potrebbe essere quello di Paolino Bonaiuti, storico portavoce di Berlusconi emarginato e cacciato dal fu cerchio magico di Pascale, Rossi e Dudù. Pure Bonaiuti trovò asilo da Alfano e adesso sarebbe pronto al grande rientro. In questi anni, il contributo al Paese dell’ex portavoce di B. è stato decisivo: ogni mattina organizza ambite colazioni con ricercate marmellate bio. Può il Parlamento rinunciare a lui? Casi a par-
IN UN CRESCENTE AFFOLLAMENTO DI ONOREVOLI IN CERCA DI UN SEGGIO, I POCHI FORTUNATI TORNATI IN AZZURRO, APPENA IN TEMPO, SONO ADDITATI COME PRIVILEGIATI
te, infine, sono il già citato Costa e un altro ex ministro, Maurizio Lupi. Costa è uscito da Ncd. Lupi non ancora. Al primo, B. avrebbe affidato l’idea di “Italia civica”, una sorta di Ong per imbarcare profughi centristi, a partire da Lupi.
Ma se il progetto fallirà, per i due ci sarà sicuramente un posto in prima fila dentro Forza Italia.
Leghisti slegati e scarti centristi
Tra i numerosi esponenti di destra che avevano puntato le loro fiches su Renzi e il renzismo c’era anche Flavio Tosi, ex sindaco leghista di Verona con tigrotto al guinzaglio e pistola calibro 45 sul comodino. Uscito dal Carroccio a causa di Salvini, Tosi ha fatto nascere in Senato una fronda leghista che van-
ta anche la sua compagna Patrizia Bisinella. Folgorati come san Paolo sulla via della rottamazione adesso ci hanno ripensato e sperano di riparare all’ombra del centrodestra.
Un altro ex leghista in Senato è Michelino Davico, oggi tesoriere del gruppo Federazione della Libertà, di cui è dominus Gaetano Quagliariello, ex ministro ed ex saggio del Quirinale. La Federazione di Quagliariello è nata da poco e potrebbe essere un altro hotspos per accogliere i centristi in transito verso destra. Come per esempio i superstiti dell’Udc di Lorenzo Cesa o altri democristiani di risulta. In totale, in questa legislatura il berlusconismo scissionista di Forza Italia si è spalmato in cinque sigle: gli alfaniani di Ncd, i verdi-
niani di Ala, i Conservatori fittiani, gli autonomisti di Gal, la neonata Federazione della Libertà.
Voltagabbana a 5 Stelle e i tormenti di Ala
L’apocalisse dell’italico trasformismo non ha risparmiato la grande forza anti-sistema delle Politiche del 2013: il Movimento 5 stelle. Fuoriusciti ed espulsi sono andati in tutte le direzioni, di solito preferendo la destra. A Palazzo Madama, l’ex “c itt adi na” Serenella Fucksia è addirittura vicepresidente del gruppo di Quagliariello, in compagnia di Carlo Giovanardi. Un’altra ex grillina in movimento è Adele Gambaro: diventata verdiniana di Ala in questi giorni ha cercato sponde amiche in Forza Italia. Fucksia e Gambaro: i nuovi Scilipoti e Razzi, che da dipietristi si fecero berlusconiani, sono donne. Dentro Ala è un ribollire senza sosta di ansie e speranze. Il renzusconismo predicato da Denis Verdini non è più il Verbo in auge. Meglio tornare a casa. Se lo augurano soprattutto i campani ex cosentiniani come Ciro Falanga ed Eva Longo. Il loro compagno Auricchio li ha preceduti e loro non hanno fatto in tempo. Anche perché quando B. congedò il senatore Auricchio da Palazzo Grazioli commentò così la visita coi suoi interlocutori: “Ma a noi questi come Auricchio davvero ci servono?”. È il dramma di molti profughi: trasformisti, se non traditori, che non portano voti.
Angelino e Pierferdy: quelli che nessuno vuole
Finanche il controesodo ha le sue eccezioni. Nuotando in direzione ostinata e contraria, il deputato alfaniano Maurizio Bernardo ha aderito al Pd perché “Renzi mi piace troppo”. È la tipica astuzia di chi cerca laddove nessuno vuole cercare più. Ma il renzismo è soprattutto seduzione e abbandono. Eclatante il caso dell’intero stato maggiore berlusconiano che in varie fasi ha traslocato nel centrosinistra sperando nel Partito della Nazione: Angelino Alfano, Fabrizio Cicchitto, Denis Verdini, Sandro Bondi. I quattro rischiano di non trovare posto da nessuna parte, a meno che non prenda corpo l’ipotesi di un centro autonomo di Ciriaco De Mita o Stefano Parisi oppure ancora di Pier Ferdinando Casini. Sono i migranti di confine, quelli che nessuno vuole, da una parte e dall’altra.