Il Fatto Quotidiano

“Il partito della nazione ha distrutto tutto Ma la Raggi deve lasciar lavorare i manager”

- @lucadecaro­lis L .D.C © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

“Un

nuovo Cda? Mah, che le devo dire. L’importante è che si sbrighino: perché tra un po’non ci sarà tempo neanche per il concordato preventivo: si potrà fare solo quello fallimenta­re”. Pietro Spirito, presidente dell’Autorità portuale di Napoli, è stato in Atac dal 2011 al 2015, come direttore centrale delle operazioni. “Poi sono scappato via, non ne potevo più”. A quell’esperienza ha dedicato un libro, Trasportop­oli, cronache dall’inferno Atac (Guerini e associati), “i cui incassi veranno devoluti all’acquisto di prodotti di ricambio per i bus”.

L’azienda può ancora essere salvata?

È difficile, ma ancora possibile. Però il tempo sta finen- do. Due anni fa il concordato preventivo non sarebbe stato necessario.

E ora invece...

Si può fare, ma prima bisogna prendere una decisione di cui stranament­e nessuno parla. Ossia cambiare la destinazio­ne d’uso delle rimesse in disuso dell’Atac, adibendole a spazi per residenze e alberghi. L’asset passerebbe da un valore di 90 milioni a 400 milioni. Semplice, no?

E perché non lo fanno? Che le devo dire... Eppure basterebbe­ro 15 giorni per approvare una delibera. Poniamo che la delibera si faccia: e poi?

Bisogna risanare l’az i e nd a sul piano finanziari­o e su quello industrial­e. Ovvero, va rinegoziat­o il debito tramite il concordato. Poi va fat- to un accordo sulla produttivi­tà, in tutti i settori. Non dico di arrivare ai livelli di Berlino, dove lavorano con turni di 40 ore a fronte dei 36 italiani. Ma a quelli di Milano e Napoli sì.

Secondo l’ex dg di Atac Bruno Rota, il problema è proprio riuscire a far lavorare i dipendenti, tra assenze, gente che non timbra e macchinist­i che simulano guasti.

Serve il coraggio di decidere, quindi quello di fare un buon accordo sulla produttivi­tà. Nel 2015 Francesco Micheli (un ex dg) dopo un mese di sciopero selvaggio dei mac- chinisti della metro riuscì a farne uno decoroso. E infatti poco dopo lo spinsero ad andare via. Era scomodo, come Ignazio Marino. E infatti pochi giorni dopo il Pd lo cacciò con le firme dal notaio.

La politica non vuole che Atac funzioni?

L’azienda è vittima di un intreccio tra politica, sindacati e fornitori. Domina il partito della nazione, trasversal­e.

Esempi?

Il disastro di Atac parte nel 2010, quando l’azienda viene fusa con Trambus e Metro. E anziché ridursi il numero dei dipendenti si moltiplica, a tutti i livelli.

Lo scontro tra Rota e il M5S? Credo che la politica volesse ordinare la rotta È stato a bagnomaria senza deleghe

Fu fatto durante la giunta Alemanno.

La delibera di fusione del 2009 fu approvata all’unanimità (quasi, 52 voti su 60, ndr).

È una mangiatoia per tutti? Assolutame­nte sì. Io inizio il libro ricordando che l’allora delegato del sindaco Gianni Alemanno venne da me chiedendom­i di essere più “i n- dulgente” con i fornitori.

Senta, ma privatizza­re?

Il 30 per cento del servizio è già privatizza­to, con Roma Tpl. E non mi pare che funzioni benissimo (i dipendenti hanno spesso subìto ritardi sugli stipendi ndr).

Cosa ne pensa dello scontro tra Rota e la giunta Raggi? Non conosco le parti in causa. Ma da fuori mi pare che la po- litica, come sempre, volesse dettare la rotta. Però se scegli un amministra­tore devi fidarti di lui.

Può essere lecito essere in disaccordo con un dirigente, non pensa?

Io vedo analogie con il trattament­o che subì Micheli. A Rota hanno dato le deleghe solo dopo averlo tenuto a bagnomaria, e poi sono entrati in contrasto con lui.

Ora che succede? L’essenziale è che si smetta di pensare “tanto qualcuno ci s a lv erà”, come facevano molti in azienda. Ci sono tante persone perbene in Atac. E meritano una gestione diversa.

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Ansa “Scappai via” Pietro Spirito, direttore centrale delle operazioni dell’Atac dal 2011 al 2015

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