Turchia, inizia il processo alla notte dei lunghi coltelli
Ankara, alla sbarra 485 imputati accusati del tentato golpe avvenuto il 15 luglio 2016; fra loro il generale Akin Ozturk, ex-capo dell’aviazione
L’orecchio destro fasciato, il naso tumefatto, lo sguardo vitreo. Qualche escoriazione sul collo, proprio dove si apre la polo bianca a righe azzurre e verdi. Così appariva Akin Ozturk, ex-capo dell’aviazione turca, il giorno del suo arresto dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016. Comandante delle forze aeree dal 2013 al 2015, generale con oltre 40 anni di carriera alle spalle e membro del Consiglio supremo militare (Yas), almeno fino alla notte del golpe.
Ozturk, è uno degli imputati al processo che inizia oggi ad Ankara, in un aula costruita apposta per le udienze legate al fallito colpo di stato.
ALLA SBARRA, con lui, ci saranno altri 485 uomini accusati di essere coinvolti in ciò che accadde la notte tra il 15 e il 16 luglio alla base aerea di Akinci, utilizzata come centro direzionale dai golpisti. Tra gli imputati di primo piano Adil Oksuz, Kemal Batmaz, Harun Binis, Nurettin Oruç e Hakan Çiçek.
Le accuse, pesantissime, sono di “aver violato la Costituzione, di aver attentato alla vita del presidente, di aver tentato di rovesciare il governo della Turchia, di gestire un’organizzazione terrori- stica armata, di aver occupato delle basi militari, di omicidio, di tentato omicidio e di privazione della libertà personale”. Su tutti loro, l’ombra di Fethullah Gulen, il predicatore miliardario che vive in auto esilio negli Stati Uniti, in Pennsylvania fin dal 1999, ritenuto da Ankara la mente del golpe; 461 imputati sono in carcere, altri 18 non sono stati arrestati e 7 sono latitanti. Tra loro Adil Oksuz, teologo che insegnava all’università e ritenuto una figura chiave dell’organizzazione di Gulen, secondo gli inquirenti addirittura il regista del colpo di stato. Era stato catturato anche lui il giorno dopo il golpe ma venne rilasciato poche ore dopo con una controversa decisione della corte. Da allora, di lui si è persa ogni traccia.
Una fuga che aveva fatto discutere tanto che i giudici e i poliziotti che si erano occupati del suo caso (portandolo in carcere senza neppure ammanettarlo, a differenza di tutti gli altri prigionieri), finirono tutti sotto accusa. Era stato fermato anche lui nei pressi della base di Akinci, vicino ad Ankara, dove durante la notte del tentato golpe il capo di Stato Maggiore Hulusi Akar, assieme ad altri comandanti delle forze armate, venne condotto dopo essere stato sequestrato dai golpisti.
LE PISTE della base vennero, poi, bombardate per impedire il decollo degli F16 usati dagli autori del colpo di stato e i generali e i comandanti liberati con un’operazione delle forze speciali. Non prima però che i golpisti lanciassero, da qui l’ordine di bombardare ripetutamente il Parlamento, il quartier generale della polizia ad Ankara e quello delle forze speciali a Golbasi, oltre agli stabilimenti della rete satellitare Turksat.
È il processo chiave, quello più importante sul golpe. Basta scorrere i nomi dei 438 querelanti. Primo fra tutti il presidente Tayyip Erdogan, poi lo speaker del parlamento Ismail Kahraman, il vice primo ministro Bekir Bozdag, il segretario generale presidenziale Fahri Kasirga e il generale Hulusi Akar. Un processo per il quale le misure di sicurezza sono imponenti e, oltre al dispiegamento di 130 gendarmi intorno al tribunale, è previsto l’utilizzo di cecchini, artificieri, blindati e droni.
L’ombra di Gulen
I militari ritenuti vicini al predicatore in esilio negli Usa, nemico di Erdogan