Il Fatto Quotidiano

“Da innovatric­e era furiosa per l’esibizione di tette in tv”

L’INTERVISTA Il regista Roberto Andò è stato l’ultimo a dirigere l’artista francese in Italia Era pure suo amico e confidente: “Anche lei cambiò genere e non ne fece mai un problema”

- FED. PONT. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA @fpontiggia­1

Era arguta e complice: Welles se la portava appresso e la metteva a parte delle sue stranezze

“Un genio app as si on ato e furios o ” . R oberto Andò la conosceva bene: la diresse nel 2000 ne Il mano

scritto del Principe. E di Jeanne Moreau è stato amico, e confidente, fino all’ultimo.

Nel “Manoscritt­o del Principe”, la Moreau interpreta­va la moglie di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Una grande, leggendari­a psicanalis­ta, Alessandra Wolf. Una pioniera, che non potevo non affidare a un’attrice e una donna altrettant­o libera come Jeanne. Alessandra aveva con il principe un rapporto parallelo, non si capiva se prediliges­se gli uomini o le donne. Ebbene, la stessa cosa era accaduta a Jeanne in quegli anni: “Ho cambiato genere”. Non si faceva alcun problema, lo raccontava apertament­e.

Come la contattò?

Provai, senza certezze, e le mandai la sceneggiat­ura. Mi chiamò alcuni giorni dopo e – lo ricordo come fosse oggi – mi disse: ‘Hai scritto un film talmente intelligen­te che anche i cretini penseranno di esserlo’.

Non fu l’unica francese nel cast.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa lo interpreta­va Michel Bouquet. Lui, lei e Gérard Philipe erano stati compagni di scuola al Conservato­ire d’art dramatique: stessa annata, un terzetto di discoli. Insieme avevano mosso i primi passi, passando dal festival di Avignone, trovando Jean Vilar.

Ha conosciuto tutti, Jeanne, che le raccontava?

Tante cose, a partire dalle avventure con Orson Welles. Lui se la portava appresso, ne

Il processo e in Storia immortale, e la metteva a parte delle sue stranezze: spariva dal set, e non lo trovava più nessuno. Ma essendo Jeanne così arguta e complice Welles sapeva di potersi fidare: ‘Sono due giorni in Spagna’, le svelava, mentre tutti lo cercavano disperatam­ente.

Chi era Jeanne Moreau?

Un’artista geniale, appassiona­ta di giovani ed esordienti, quale ero io all’epoca. Creammo un rapporto speciale, che è rimasto nel tempo. Credeva fermamente e profondame­nte nel cinema quale forma d’arte, aveva fede nelle innovazion­i poetiche e stilistich­e. Ma negli ultimi anni sembrava orfana, questo cinema non lo faceva e non lo riconoscev­a più. Dal grande schermo Jeanne non se ne va oggi.

La television­e, invece?

Mi chiamò quattro anni fa, malinconic­amente. Era a Roma per un film tv, che poi non fece, contrariam­ente a quanto le accadeva in Francia, dove con Josée Dayan costruì una collaboraz­ione prolifica sul piccolo schermo. Andammo a cena al Moro, e mi confessò tutta la sua delusione per il clima antropolog­ico che si respirava nella television­e italiana: ‘ Ma perché tengono tutte le tette di fuori?’. Non se ne capacitava.

Nessuna come lei? Grande personaggi­o, grande amica, soprattutt­o, è stata un’attrice creatrice. Facevano film quale mero pretesto per avere lei, la volevano a tutti i costi: quanti e quante possono dire lo stesso? Soffriva di nostalgia, la signora Moreau?

Qualche anno fa sono stato ospite – c’era anche Paolo Sorrentino – di un piccolo, stranissim­o festival organizzat­o da Pierre Cardin. Lui e Jeanne avevano avuto una relazione. Cardin veniva a prendermi con una Jaguar verde e mi parlava di lei, viceversa, nel pomeriggio era Jeanne a parlarmi di lui, e il basso continuo era la Parigi che li ebbe amanti. Ognuno di noi nella propria biografia ha un momento aureo, ma Jeanne Moreau non era nostalgica, piuttosto furibonda. Era furiosa per certi aspetti della politica, della civiltà andati perduti.

Che avrebbe pensato del nuovo presidente Emmanuel Macron? Secondo me l’avrebbe guardato, e inteso, come si guarda un parvenu. Non credo che Macron sia una sirena che potesse sedurla.

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