E Neymar diventa emiro
Tamim e suo padre l’emiro: tutto passa da loro
Occhio,
Claudio Lotito, pignolo e oculato presidente della Lazio: sapendo che una sana iniezioni di capitali potrebbe innescare il salto di qualità che alla squadra romana oggettivamente ancora manca, il Qatar ti ha puntato. In nome del soft power, come l’ha defini- ta il politologo Joseph Nye, la strategia cioè che “migliora e raffina l’immagine internazionale dell’emirato”, perché sposa finanza e potere, lusso e business, tradizione religiosa e modernità estrema ma che ha soprattutto nello sport e nei media i suoi punti di forza. E di rottura.
Infatti, come ricorderà Lotito, Tamim bin Hamad al-Thani, il giovane (ha 37 anni) e vulcanico emiro del Qatar, fondatore (nel 2005) del possente Qatar Sports Investments che è proprietario del Paris Saint-Germain e che ha messo sul tavolo 622 milioni di Euro per strappare Neymar al Barcellona ( sponsorizzato dal Qatar...), ha detto di tifare la Lazio. In fondo, la squadra biancoazzurra gli costerebbe assai meno di O’Ney, e gli permetterebbe di diventare protagonista nel campionato italiano, dopo averlo fatto in quello francese, inglese e spagnolo.
Inoltre, gli interessi qatarioti in Italia sono piuttosto ingenti: il Qatar, infatti, ha acquisito gli asset di mezza Porta Nuova, coi grattacieli orgoglio di Milano, e anche dello storico hotel Gallia, accanto alla Stazione Centrale, dove un tempo si svolgeva il calcio-mercato. Lo shopping immobiliare del Qatar nel Belpaese comprende pure l’ex ospedale San Raffaele di Olbia, parecchi alberghi e resort turistici in Sardegna. Senza dimenticare la maison Valentino o l’incursione della compagnia di bandiera Qatar Airways nell’azionariato di Meridiana. Mica male, per un Paese che ha 2,2 milioni di abitanti, però solo poco più di 300mila “veri” qatarioti.
I SOLDI DEL QATARfanno gola: chiedere a Macron, che quando lavorava alla Rotschild ne sapeva qualcosa... o agli inglesi del Brexit, o alla Merkel. Il Qatar Investment Authority, il fondo sovrano istituito nel 2005 da Hamad bin Khalifa al-Thani, padre dell’attuale emiro, ha operato a spron battuto in questi anni, ottenendo oltre duemila quote di rilievo tra alcune delle maggiori società europee e americane: Airbus, London Stock Exchange (dunque anche Borsa di Milano), Volkswagen, Virgin Megastore, Lagardère, Veolia Environnement, i colossi bancari Hsbc, Barclay’s e Credit Suisse, i grandi magazzini londinesi Harrods, Walt Disney, Shell, lo Shard London Bridge. La politica economica e finanziaria adottata dagli al-Thani è semplice, ma sofisticata: investire i petrodol- lari (il Qatar è il terzo Paese al mondo per riserve di gas naturale liquefatto), seguendo un percorso di diversificazione, capace di assorbire eventuali sconquassi dovuti alle crisi cicliche del sistema globalizzato. Quindi, proprietà immobiliari nelle città trend del mondo (Londra, Parigi, New York, Milano), tecnologia, turismo, grandi holding occidentali.
E sport. Con il Qatar Sports Investments, filiazione del fondo sovrano, creato nel 2006. Capace di rivoluzionare il mercato. E di suscitare ancor di più invidia e ostilità dei suoi vicini che hanno isolato diplomaticamente il Qatar accusandolo di foraggiare l’estremismo islamico, attraverso Al Jazeera e anche con lo sport, il più invasivo dei mezzi di persuasione. Nel 2022 Doha ospiterà i mondiali di calcio: assegnazione ottenuta, secondo inchieste giornalistiche, ungendo chi di dovere. Insinuazioni respinte da Hassan al-Thawadi, segretario generale del comitato organizzatore della Fifa World Cup 2022; l’Occidente va a nozze coi soldi qatarioti. Tornei milionari di tennis, il Masters di golf entrato nell’European Tour, gare ciclistiche, una tappa del Motomondiale, una della Golden League di atletica, persino la Desert Cup di hockey sul ghiaccio. Nel 2014 ci sono stati i mondiali di nuoto in vasca corta, nel 2015 il mondiale di pallamano, nel 2016 quello del ciclismo su strada. Nel 2018 sono previsti i mondiali di ginnastica, nel 2019 quelli di atletica, scippati a Barcellona.
Per dar peso alla propria candidatura, il comitato promotore qatariota avrebbe offerto un “bo nu s” al la Iaaf di 37 milioni di dollari, secondo la stampa iberica.
Il problema è che si conoscono le cifre e gli investimenti, poco di chi manovra questa multinazionale dello sport, con campagne di mercato faraoniche e investimenti stratosferici. Tamim, per esempio, è stato designato erede nel 2003 al trono da suo padre Hamad, pur essendo il quarto nella linea di successione, che ha abdicato dieci anni dopo. Ma, secondo gli analisti esperti di geopolitica
INVESTIMENTI Sport mondiale (calcio, ciclismo, atletica), affari immobiliari (molti a Milano) fino ad Harrods, Walt Disney, Shell e grandi holding
del Golfo Persico, starebbe ancora lui a tirare “i fili del potere”( Guardian, 21 luglio 2017). Sia nel pilotare il paese tra le secche della pesantissima crisi diplomatica provocata principalmente da Arabia Saudita, Egitto e Emirati Arabi Uniti, sia
nell’individuare i filoni economici più favorevoli.
SUO FIGLIO TAMIMsi è laureato in Gran Bretagna, ha studiato alla Royal Military Academy di Sandhurst, frequentata da William e Harry, i figli di Lady D. È stato “addestrato” dal padre agli affari di Stato e a quelli della finanza internazionale, ha lavorato in delicati settori (sicurezza, esercito), è un tipo che bada al sodo. Attento ai buoni rapporti con Usa e Francia, ma anche coi Fratelli Musulmani e i militanti delle Primavere arabe. Il sacro e il profano. Neymar e Allah.