“Io, cacciato con WhatsApp” I licenziati nell’era dei social
Nuovi orizzonti Dai quattro livornesi messi alla porta con la chat, ai fattorini di Foodora “sloggati” dopo le proteste per i loro diritti
“Un nuovo messaggio su WhatsApp”. Un preavviso sul display dello smartphone che non preannuncia mai qualcosa di particolarmente serio. Del resto, non è con un’applicazione piena di faccine colorate che si inviano le comunicazioni importanti. Quando guardi il contenuto, però, devi ricrederti: “La informiamo che intendiamo risolvere il suo contratto di lavoro con la nostra azienda”, si legge nell’allegato. Non era un messaggino insignificante, ma una formale lettera di licenziamento.
Sono diversi i lavoratori che hanno sperimentato questa singolare modalità di allontanamento. Gli ultimi sono quattro addetti livornesi del Porca Vacca, catena di ristoranti presente in Toscana, Lazio e Umbria. Lunedì hanno appreso di essere stati cacciati tramite un sms sulla chat di WhatsApp. Ne ha parlato ieri il quotidiano T irre no, spiegando che i dipendenti a febbraio avevano scioperato in solidarietà con una collega che era stata licenziata poco prima. “Quel giorno ci dissero che ce l’avrebbero fatta pagare”, ha raccontato uno di loro, Leonardo Zaru. “La motivazione economica del nostro licenziamento è una scusa – ha proseguito il ragazzo, delegato Cgil - Ci hanno chiesto di passare da 40 a 30 ore settimanali. Ma perché dovremmo accettare questa condizione in un’azienda che continua ad assumere?”. Da Porca Vacca hanno fatto sapere che non si è trattato di una ritorsione. Dunque, a fronte del mancato accordo sulla riduzione di turni e stipendio, sono bastate due righe su WhatsApp per anticipare la raccomandata contenente la cessazione del rapporto di lavoro.
ESISTE PURE un altro caso, avvenuto nel 2015 a Catania, nel quale l’azienda non ha neppure inviato la raccomandata, limitandosi al solo messaggino. La dipendente allontanata ha impugnato l'atto proprio contestandone la forma. Il 27 giugno di quest’anno è arrivata la pronuncia del Tribunale: il licenziamento via WhatsApp è legittimo, dicono i giudici. L’argomento è che anche un sms “soddisfa l’obbligo di forma scritta”. Le toghe siciliane hanno citato la Cassazione: “Non sussiste – si legge sul documento - per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali. La volontà di licenziare può essere comunicata anche in forma indiretta, purché chiara”. Basta scriverlo in lingua italiana ed è tut- to in regola. Proprio il ricorso della lavoratrice, secondo i giudici, dimostra quanto inequivocabile sia stato il licenziamento: se non fosse stato ben compreso, insomma, non sarebbe mai stato impugnato. La tecnologia, dunque, ha fornito un metodo comodo per semplificare le procedure di licenziamento.
Di storie originali se ne sentono a decine, al punto da far sembrare tradizionalista la Ericsson, che il 21 luglio, di venerdì sera, ha inviato 44 lette- re di licenziamento nel bel mezzo di una vertenza servendosi della “classica” posta elettronica. Non il massimo della formalità, ma niente a che vedere con quanto successo a febbraio con Foodora, società delle consegne di cibo a domicilio. Per comunicare l’allontanamento di fatto dei suoi rider più agitati, i fattorini che stavano protestando e chiedendo migliori condizioni, li ha semplicemente “slogg at i”. In sostanza, sono stati cancellati dall'applicazione che inviava le richieste di consegna.
Dato che erano retribuiti a cottimo, li ha lasciati praticamente senza lavoro.
QUANDO invece l’azienda che licenzia si chiama Poste Italiane, magari la comunicazione arriverà con il metodo di corrispondenza tradizionale, ma le modalità possono rivelarsi ugualmente strane. Marcello, nome di fantasia, è stato assunto come portalettere a inizio luglio 2017. Nel contratto, era previsto un periodo di prova di 42 giorni. Dopo appena undici giorni effettivi di servizio, è stato messo alla porta per il “mancato superamento del periodo di prova”. Secondo Poste, quelle poche giornate sono state sufficienti per un giudizio negativo.
Ancora più strana è la vicenda di un’impiegata del supermercato Carrefour dell’Aquila. A ottobre, è stata messa in ferie. Al ritorno dal riposo, è stata licenziata per l'assenza in quegli stessi giorni. Tale l’assurdità che pochi mesi dopo il giudice del lavoro del capoluogo abruzzese ha ordinato il reintegro. Paradossale, infine, la storia di un ragazzo assunto con contratto a chiamata dalla casa di moda Abercrombie. È stato licenziato appena ha compiuto i 25 anni, per raggiunti limiti di età. Il job on call, infatti, è riservato per legge solo agli under 25 e agli over 55. Per la Corte di Giustizia europea, quel licenziamento non è discriminatorio: la norma italiana è “legittima, perché persegue il fine di favorire l’occupazione giovanile”.
Via Smartphone Ma per i giudici di Catania è legittimo il licenziamento con l’applicazione