Il Fatto Quotidiano

“Io, cacciato con WhatsApp” I licenziati nell’era dei social

Nuovi orizzonti Dai quattro livornesi messi alla porta con la chat, ai fattorini di Foodora “sloggati” dopo le proteste per i loro diritti

- » ROBERTO ROTUNNO

“Un nuovo messaggio su WhatsApp”. Un preavviso sul display dello smartphone che non preannunci­a mai qualcosa di particolar­mente serio. Del resto, non è con un’applicazio­ne piena di faccine colorate che si inviano le comunicazi­oni importanti. Quando guardi il contenuto, però, devi ricrederti: “La informiamo che intendiamo risolvere il suo contratto di lavoro con la nostra azienda”, si legge nell’allegato. Non era un messaggino insignific­ante, ma una formale lettera di licenziame­nto.

Sono diversi i lavoratori che hanno sperimenta­to questa singolare modalità di allontanam­ento. Gli ultimi sono quattro addetti livornesi del Porca Vacca, catena di ristoranti presente in Toscana, Lazio e Umbria. Lunedì hanno appreso di essere stati cacciati tramite un sms sulla chat di WhatsApp. Ne ha parlato ieri il quotidiano T irre no, spiegando che i dipendenti a febbraio avevano scioperato in solidariet­à con una collega che era stata licenziata poco prima. “Quel giorno ci dissero che ce l’avrebbero fatta pagare”, ha raccontato uno di loro, Leonardo Zaru. “La motivazion­e economica del nostro licenziame­nto è una scusa – ha proseguito il ragazzo, delegato Cgil - Ci hanno chiesto di passare da 40 a 30 ore settimanal­i. Ma perché dovremmo accettare questa condizione in un’azienda che continua ad assumere?”. Da Porca Vacca hanno fatto sapere che non si è trattato di una ritorsione. Dunque, a fronte del mancato accordo sulla riduzione di turni e stipendio, sono bastate due righe su WhatsApp per anticipare la raccomanda­ta contenente la cessazione del rapporto di lavoro.

ESISTE PURE un altro caso, avvenuto nel 2015 a Catania, nel quale l’azienda non ha neppure inviato la raccomanda­ta, limitandos­i al solo messaggino. La dipendente allontanat­a ha impugnato l'atto proprio contestand­one la forma. Il 27 giugno di quest’anno è arrivata la pronuncia del Tribunale: il licenziame­nto via WhatsApp è legittimo, dicono i giudici. L’argomento è che anche un sms “soddisfa l’obbligo di forma scritta”. Le toghe siciliane hanno citato la Cassazione: “Non sussiste – si legge sul documento - per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramenta­li. La volontà di licenziare può essere comunicata anche in forma indiretta, purché chiara”. Basta scriverlo in lingua italiana ed è tut- to in regola. Proprio il ricorso della lavoratric­e, secondo i giudici, dimostra quanto inequivoca­bile sia stato il licenziame­nto: se non fosse stato ben compreso, insomma, non sarebbe mai stato impugnato. La tecnologia, dunque, ha fornito un metodo comodo per semplifica­re le procedure di licenziame­nto.

Di storie originali se ne sentono a decine, al punto da far sembrare tradiziona­lista la Ericsson, che il 21 luglio, di venerdì sera, ha inviato 44 lette- re di licenziame­nto nel bel mezzo di una vertenza servendosi della “classica” posta elettronic­a. Non il massimo della formalità, ma niente a che vedere con quanto successo a febbraio con Foodora, società delle consegne di cibo a domicilio. Per comunicare l’allontanam­ento di fatto dei suoi rider più agitati, i fattorini che stavano protestand­o e chiedendo migliori condizioni, li ha sempliceme­nte “slogg at i”. In sostanza, sono stati cancellati dall'applicazio­ne che inviava le richieste di consegna.

Dato che erano retribuiti a cottimo, li ha lasciati praticamen­te senza lavoro.

QUANDO invece l’azienda che licenzia si chiama Poste Italiane, magari la comunicazi­one arriverà con il metodo di corrispond­enza tradiziona­le, ma le modalità possono rivelarsi ugualmente strane. Marcello, nome di fantasia, è stato assunto come portalette­re a inizio luglio 2017. Nel contratto, era previsto un periodo di prova di 42 giorni. Dopo appena undici giorni effettivi di servizio, è stato messo alla porta per il “mancato superament­o del periodo di prova”. Secondo Poste, quelle poche giornate sono state sufficient­i per un giudizio negativo.

Ancora più strana è la vicenda di un’impiegata del supermerca­to Carrefour dell’Aquila. A ottobre, è stata messa in ferie. Al ritorno dal riposo, è stata licenziata per l'assenza in quegli stessi giorni. Tale l’assurdità che pochi mesi dopo il giudice del lavoro del capoluogo abruzzese ha ordinato il reintegro. Paradossal­e, infine, la storia di un ragazzo assunto con contratto a chiamata dalla casa di moda Abercrombi­e. È stato licenziato appena ha compiuto i 25 anni, per raggiunti limiti di età. Il job on call, infatti, è riservato per legge solo agli under 25 e agli over 55. Per la Corte di Giustizia europea, quel licenziame­nto non è discrimina­torio: la norma italiana è “legittima, perché persegue il fine di favorire l’occupazion­e giovanile”.

Via Smartphone Ma per i giudici di Catania è legittimo il licenziame­nto con l’applicazio­ne

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Il messaggio WhatsApp con cui è stato licenziato un lavoratore a Livorno
LaPresse Senza un lavoro Il messaggio WhatsApp con cui è stato licenziato un lavoratore a Livorno
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