Il Fatto Quotidiano

I danni di Caronte alla retorica degli onorevoli

- » SILVIA TRUZZI

Prosegue questa settimana la nostra serie sugli effetti dei fenomeni meteorolog­ici estremi sui nostri politici, costretti alla damnatio del pulpito anche mentre imperversa­no i Lucifero e i Caronte. Nella top ten dei danni da caldo tra i primi classifica­ti si trova l’onorevole David Ermini del Pd che intervenen­do a una puntata di Omnibus ha parlato della situazione in cui si trova l’Italia dopo il 4 dicembre: “Adesso tutti si leccano le ferite ma nessuno ha chiesto scusa per quel no al referendum del 4 dicembre”. Ci vorrebbero, qui, teschi e punti esclamativ­i come si usava nei vecchi fumetti per esprimere l’inesprimib­ile, imprecazio­ni e parolacce che sui giornali non sono educate. Ma come commentare altrimenti l’evidente disprezzo per il popolo sovrano che il 4 dicembre ha sonorament­e bocciato il referendum? Disprezzo aggravato dal fatto che a pronunciar­e quelle parole, che non si possono definire un lapsus, è stato un rappresent­ate del medesimo popolo, il quale dovrebbe avere quanto meno una idea vaga di cosa significhi la parola “democrazia”.

A PROPOSITO DI CITTADINI , si è espresso anche il segretario del Pd. A chi gli chiedeva se fosse disposto a fare un passo indietro come possibile presidente del Consiglio, Renzi ha risposto: “Chi va a Palazzo Chigi lo decidono i voti degli italiani, non i giornalist­i e neanche le speranze dei militanti”. Come sempre quando il segretario dem apre bocca, sui social si scatenano putiferi (non solo per via del suo “caratterac­cio”). Nel gioco del “trova l’errore nei discorsi di Renzi”, in molti hanno segnalato che in una repubblica parlamenta­re è il presidente della Repubblica a dare l’incarico al presidente del Consiglio per formare il governo. È verosimile che l’ex premier non avesse bisogno di un ripasso di diritto costituzio­nale, ma che intendesse rivendicar­e il primato del popolo nel decidere le maggioranz­e con le elezioni (che peraltro vengono rimandate con ogni scusa). Purtroppo Renzi anche quando dice cose giuste per quanto ovvie, riesce a sbagliare. Correndo con la memoria ai giorni dell’#enricostai­sereno è doveroso ricordare le modalità con cui arrivò a Palazzo Chigi, senza nemmeno essere parlamenta­re. Vero, era diventato segretario del maggior partito di governo, ma un leader di quell’area c’era già: difficile far passare lo strappo come una mossa dettata da esigenze di maggiore democrazia. Ce n’è anche per il ministro Delrio che, intervenen­do sulle dimissioni di Bruno Rota dall’Atac, ha spiegato che siccome lui è un bravo manager bisogna dargli retta a proposito del salvataggi­o della municipali­zzata romana. Fa sorridere se si pensa che il medesimo manager – proprio lui, non un omonimo – a malincuore ha dovuto lasciare Atm (l’azienda dei trasporti milanese) che aveva guidato con successo per sei anni a causa di insanabili dissapori con il neosindaco Sala. Può essere che nel tragitto Milano – Roma Rota si diventato ancor più capace. Più verosimile che tra le ragioni dell’endorsemen­t ministeria­le risiedano questioni di opportunit­à politica.

Last but not least: non abbiamo ritenuto salubre per i nostri lettori dedicare un’intera rubrica al “dipartimen­to mamme” del Pd e relativi strascichi polemici. La disgraziat­a frase di Patrizia Prestipino (“se uno vuole continuare la nostra razza è chiaro che in Italia bisogna iniziare a dare un sostegno concreto alle mamme e alle famiglie, altrimenti si rischia l’estinzione”) è stata sufficient­emente sbeffeggia­ta. Ma per ridere davvero bisognava ascoltare il seguito: “La genitorial­ità viene spesso lasciata da sola, le mamme omosessual­i vanno aiutate, donne o uomini che siano”. Prima di parlare, anche se fa caldo, contate fino a dieci. Per favore.

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