Il Fatto Quotidiano

Quel “doppio movimento” per tenere i migranti in Libia

L’obiettivo è trattenere nei centri di accoglienz­a chi vuole partire per l’Europa. Per riuscirci bisogna rafforzare il premier Sarraj

- » STEFANO FELTRI

La strategia del ministro dell’Interno Marco Minniti sulla Libia si regge su questa analisi: “I trafficant­i di esseri umani hanno bisogno di territorio non governato, perché soltanto in uno Stato fallito le carovane di migranti possono percorrere chilometri di deserto senza interferen­ze”. Minniti evoca un “d opp io movimento”.

PRIMO MOVIMENTO: mettere in condizione il governo riconosciu­to dalla comunità internazio­nale, quello del premier Fayez al-Sarraj di avere un effettivo controllo sulle coste e sulla Tripolitan­ia, da cui passano i migranti che poi arrivano in Italia. Secondo movimento: trattare con il generale Kalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, e con i “guardiani del deserto”, cioè le tribù dei Suleiman, dei Tebou e dei Touareg, perché controllin­o le zone del Fezzan e il confine meridional­e, “frontiera Sud di tutta l’Europa”. Solo perseguire queste due tattiche insieme permetterà all’Italia di raggiunger­e il suo obiettivo strategico: fermare i migranti in Libia, o trattenuti nei centri di accoglienz­a locali o incentivat­i a tornare nei Paesi di origine. Inutile cercare di dirottare il flusso verso Egitto e Tunisia, magari classifica­ndo quest’ultima come “porto sicuro” dove far sbarcare le navi di migranti: si rischia di destabiliz­zare anche i fragili vicini della Libia, creando ulteriori opportunit­à per i trafficant­i.

Il ministro è consapevol­e però che quei centri di accoglienz­a oggi sono spesso carceri, in parte gestite dal governo in parte da milizie o dai trafficant­i stessi, “bisogna assicurare la dignità di quei luoghi e il rispetto dei diritti umani”. Qualche segnale positivo Minniti lo vede: l’Oim, l’organizzaz­ione dell’Onu che segue i migranti economici, ha già aiutato 5000 persone a insediarsi in Paesi della regione e conta di arrivare a 12.000 nel 2017. Piccoli numeri, “ma dimostrano che qualcosa si può fare”, dice Minniti che è ottimista anche sul fatto che presto l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, possa tornare a operare in Libia con personale internazio­nale.

Stabilizza­re la Libia però è arduo: se l’Italia tratta con i protagonis­ti diversi dal governo Sarraj, lo indebolisc­e. Se li ignora, la situazione sul terreno non migliora. Per evitare che la Libia diventi uno Stato fallito in mano ai trafficant­i bisogna quindi trattare anche con Haftar, che ha minacciato ritorsioni contro le due navi italiane a sostegno della guardia costiera libica, “siamo l’unico Paese europeo con un’ambasciata a Tripoli ma la prima missione dell’ambasciato­re è stata andare a Tobruk, per dare il segnale che l’Italia lavora per una Libia unita, abbiamo parlato, stiamo parlando e continuere­mo a parlare con Haftar”, spiega Minniti. Poi bisogna assicurare la pace con le tribù del Sud: i Tebou e i Suleiman, con i Touareg testimoni, hanno siglato una storica intesa a Roma il 31 marzo. Formalment­e l’Italia ha soltanto ospitato il vertice, senza trattare direttamen­te (riconoscer­e che le tribù controllan­o pezzi di Libia equivale ad ammettere che Sarraj è un premier virtuale). Nei momenti di tensione intorno all’aeroporto di Seba, nel Sud della Libia, l’accordo tra le tribù ha retto e può rivelarsi decisivo se, dopo la caduta di Mosul in Iraq e quella probabile di Raqqa in Siria, ci fosse una fuga di militanti dalle ultime roccaforti dell’Isis. Il rischio che i terroristi si mescolino ai migranti potrebbe diventare concreto.

I confini meridional­i L’intesa con le tribù regge ma si rischia l’arrivo dei militanti Isis in fuga da Iraq e Siria

OLTRE ALLA POLITICA, però, c’è l’economia: il racket dei migranti genera un indotto enorme. L’Unione europea ha stanziato 90 milioni di euro per finanziare uno sviluppo alternativ­o, Minniti il 13 luglio ha incontrato 14 sindaci di città che prosperano su racket per discutere progetti alternativ­i, “il traffico è una delle poche industrie che in Libia funzionano, per sconfigger­lo servono alternativ­e, le risorse si possono trovare, basta pensare a quanto spendiamo ogni anno per l’accoglienz­a in Italia”.

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