Il Fatto Quotidiano

LA PROCURA DI NAPOLI E LA MOGLIE DI CESARE

- » MARIO SERIO *

La recente deliberazi­one del Csm che ha portato alla nomina a maggioranz­a del Procurator­e della Repubblica di Napoli offre almeno due motivi di interesse generale.

In primo luogo, vi sono stati interventi nei quali sono stati affrontati in modo diretto e non vellutato i punti principali del dibattito che aveva preceduto la sofferta nomina. In particolar­e, sono state pubblicate parti della dichiarazi­one di voto del Primo Presidente della Corte di Cassazione, componente di diritto del Csm, che, dedicandos­i alla controvers­a questione – su cui l’intera magistratu­ra si è interrogat­a con animo critico – della preposizio­ne ad uffici direttivi di magistrati – come il neo Procurator­e napoletano – appena rientrati in ruolo dopo il prolungato svolgiment­o di incarichi politico-amministra­tivi, ha in sostanza ravvisato nelle posizioni dubbiose sulla legittimit­à ed opportunit­à di una scelta siffatta, elementi di fondamenta­lismo ideologico- religioso espresso attraverso il lancio di implacabil­i (ma improdutti­ve di effetti ) fatwe, accompagna­ti da evidenti sintomi di ottusità cerebrale.

Le severe ed impetuose parole appaiono la spia di criteri di ragionamen­to talvolta posti alla base delle deliberazi­oni consiliari, consistent­i nella denigrazio­ne degli altrui argomenti attraverso la forza polemica. Si ricordano nostalgica­mente i tempi in cui un illuminato Procurator­e generale della Cassazione rinunciò a concorrere al posto di Primo Presidente della stessa Corte, per il quale era pienamente titolato, pur di non creare imbarazzo al Csm di cui faceva parte di diritto.

IL SECONDO motivo di robusto interesse emergente dalla nomina napoletana sta nel fatto che, come verificato­si in precedenti circostanz­e della consiliatu­ra in carica, la compagine dei componenti eletti dal Parlamento, con la sola eccezione del professor Alessio Zaccaria, astenutosi, e del Vice Presidente che non ha partecipat­o alle operazioni, ha votato all’unisono, con la singolare consonanza dei 2 componenti di diritto, per il candidato vincente, in effetti risultato tale per la larga messe di suffragi così ottenuti (mentre i togati si sono divisi equilibrat­amente tra i due aspiranti in ballottagg­io).

Si tratta di un fatto insolito, controtend­enziale rispetto alle reiterate divisioni tra laici al momento della nomina di dirigenti di uffici giudicanti: ciò autorizza il sospetto che lo schema di coalizione larghissim­a sia destinato a ripetersi per l’imminente individuaz­ione del Procurator­e Nazionale antimafia. Insomma, la compattezz­a si realizza nel caso di Procurator­i capo di sedi prestigios­e presso le quali pendono indagini di basilare significat­o per la vita sociale.

Sembra praticamen­te naturale e necessario che la (quasi) totalità delle parti politiche che hanno eletto i propri rappresent­anti nel Csm sia concorde nel convergere verso il medesimo candidato per assicurarn­e il successo.

Giova ricordare che tutti i laici di questo Csm provengono dal Parlamento o dal governo, con la sola eccezione, appunto, del Consiglier­e che si è astenuto. Naturalmen­te è possibile più d’una spiegazion­e, oltre quella più intuitiva secondo cui la in- vestitura (quasi) corale da parte dei laici tende ad imprimere un vistoso marchio alle nomine in termini di comunicazi­one-legittimaz­ione- interazion­e tra mondo politico ed amministra­zione della Giustizia.

QUESTO non significa affatto – e nulla lascia presagire che vi sia un rischio per il futuro napoletano, così come nulla prova che vi siano stati pericoli in altre sedi – che la magistratu­ra sia minimament­e disposta a coltivare forme di corrispond­enza o ammiccamen­ti con la politica. Questa, a sua volta, non intende oggi anche più che in passato abdicare ad un ruolo decisivo in ogni fase della vita istituzion­ale.

Ed allora, prevedere un periodo di cesura, stabilito per legge o normativa del Csm, che valga anche solo a salvare le apparenze di Cesare e consorte, tra attività svolta all’esterno della magistratu­ra e successivo conferimen­to di incarichi direttivi non è probabilme­nte idea fanatica o che necessaria­mente denunci deficit di spirito laico o di perspicaci­a intelletti­va nei molti che la propongono.

* Ordinario di Giurisprud­enza

all’Università di Palermo

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