Rischio “buco” alla Rai scatta l’allarme
“Il finanziamento pubblicitario di un’emittente televisiva di servizio pubblico (…) ne inquina inevitabilmente l’autonomia e influenza comunque la ‘purezza’ della missione”.
(da “Con lo Stato e con il mercato?” di Angelo Zaccone Teodossi e Francesca Medolago Albani – Mondadori, pag. 446)
Piange miseria il direttore generale della Rai, Mario Orfeo, davanti alla Commissione parlamentare di Vigilanza. Il canone, inserito nella bolletta elettrica per combattere l’evasione e progressivamente diminuito dai 113,5 euro del
2015 ai 100 del 2016 fino ai
90 di quest’anno con la previsione di un sostanziale pareggio di bilancio, non gli basta per mandare avanti il carrozzone di viale Mazzini. E così, secondo il dg, la riduzione della “tassa più odiata dagli italiani” minaccia di provocare nel 2018 un “buc o” di 80-100 milioni di euro. Ma come?! Giustamente il deputato del Pd Michele Anzaldi, segretario della stessa Vigilanza, eccepisce nel linguaggio sintetico di un Tweet: “Hanno dato mega contratto da 83 milioni a trasmissioni Fazio e ora Rai dice che avrà 100 milioni di rosso? Ecco come vengono sprecati soldi italiani”. È proprio questo, infatti, il problema: gli spechi del servizio pubblico, non il canone inserito nella bolletta elettrica com’è in Francia nella “taxe d’habitation”. E se il governo decide di diminuire l’importo annuo, a favore delle famiglie dei telespettatori, vanno diminuite in proporzione anche le spese della Rai che non possono essere considerate una “variabile indipendente”.
PRIMA DI BATTERE CASSA, pietendo un aumento del canone o magari un incremento della pubblicità, il direttore generale ha il dovere allora di tagliare sperperi, maxi-contratti, collaborazioni, consulenze e appalti, per rispettare innanzitutto la “missione” istituzionale dell’azienda. E poi per non incorrere nelle censure della Corte dei Conti. Ora che le entrate sono certe e predefinite, non ci sono più alibi: su 2.154 milioni di euro pagati dai cittadini, nel 2016 l’azienda di viale Mazzini ne ha incassati 1.793 e quest’anno ne ha previsti 1.688. Quanto alla raccolta pubblicitaria, invece, la Rai dovrebbe rinunciare – sul modello della Bbc o di altre tv pubbliche europee – a una fonte di finanziamento che compromette la sua stessa identità e legittimazione, per favorire così quel “riequilibrio delle risorse” già invocato nel messaggio dell’ex presidente Ciampi alle Camere, a vantaggio dell’intero sistema mediatico: tv private e locali, radio, carta stampata, Internet.
Piuttosto che disquisire a vanvera sul canone, risorsa fondamentale di un servizio pubblico tenuto in primo luogo a fornire un’informazione completa e corretta, sarebbe il caso semmai di riprendere in esame l’ipotesi lanciata a suo tempo dal sottoscritto e condivisa da alcuni esponenti politici: quella di un “canone sociale”, parametrato al reddito individuale ovvero ai consumi elettrici, per rendere l’abbonamento più equo e accettabile. In questo modo forse la “tassa più odiata dagli italiani” potrebbe anche risultare meno odiata.
Ma è chiaro comunque che il sistema migliore per assicurare piena funzionalità e credibilità alla radiotelevisione pubblica resta quello di una riforma organica, in grado di liberare la Rai dalla subalternità alla politica e garantire il pluralismo dell’informazione.
Fino a quando i cittadini continueranno a percepirla come un “braccio armato” del governo, il canone – ancorché incluso nella bolletta - lo pagheranno malvolentieri. E i direttori generali continueranno a piangere miseria elemosinando soldi a Pantalone.