Scacco matto a “occhi di gatto”
Il torneo di tennis era stato fatale fin dal primo turno. Eliminato in due set, 6-0 6-3. Ma bisogna considerare che il mio avversario aveva diciassette anni, due in più di me, era un Coccodrillo (io, semplice Cerbiatto), e se non bastasse si chiamava Manfredi.
Poi, non tutto era perduto. Rimes- sa nella custodia la Maxima di legno, al Centro Federale sull’Appennino modenese erano iniziati gli altri tornei di fine corso. E avevo il mio asso nella manica: gli scacchi. Li avevo appena scoperti grazie alla sfida tra Bobby Fischer e Boris Spassky per il titolo mondiale, la Guerra fredda nelle 64 case della scacchiera.
Il torneo di tennis era stato fatale fin dal primo turno. Eliminato in due set, 6-0 6-3. Ma bisogna considerare che il mio avversario aveva 17 anni, due in più di me, era un Coccodrillo ( io, semplice Cerbiatto), e se non bastasse si chiamava Manfredi.
Poi, non tutto era perduto. Rimessa nella custodia la Maxima di legno, al Centro Federale sull’Appennino modenese erano iniziati gli altri tornei di fine corso. E avevo il mio asso nella manica: gli scacchi.
Li avevo appena scoperti grazie alla sfida tra Bobby Fischer e Boris Spassky per il titolo mondiale, la Guerra fredda nelle 64 case della scacchiera. All’i m pr o vv is o quel gioco nobile ma complicato era divenuto di gran moda; anch’io mi ero procurato una piccola scacchiera magnetica, una copia delle 60 partite da ricordare di Fischer e ogni mattina ricostruivo sotto l’ombrellone le partite della “sfida del secolo” commentate da tutti i quotidiani.
IL BELLO dell’adolescenza è che non sai chi sei, ma speri di indovinarlo. Avevo passato quell’estate a studiare la difesa siciliana e il gambetto di re sperando di diventare il Fischer italiano; tanto per cominciare, avrei fatto faville in quel torneo di promesse del tennis ma scacchisti per caso. Sbaragliare i compagni di corso, più alti e atletici di me sarebbe stata una formalità. Ma la sorte mi giocò uno strano tiro. Al primo turno avrei dovuto giocare contro Antonella Floss. Antonella Floss! La più carina tra i cento e passa allievi, la reginetta del centro federale, inseguita senza sosta dai coccodrilli più fighi. In tanti sostenevano di essere a un passo dalla grande conquista; ma lei, a tre giorni dalla fine del corso, non aveva ancora ceduto a nessuno. Perché nessuno le piaceva abbastanza o perché le piaceva troppo essere corteggiata da tutti? Chissà. Le belle ragazze sono come la vita, piene di sorprese.
Il torneo di scacchi non aveva molti iscritti, eppure per raggiungere il mio posto dietro il tavolino dovetti farmi largo in una piccola platea quasi tutta maschile; c’ era Manfredi, già passato ai quarti, e c’era il maestro Di Bona, venerato playboy del centro, mi lanciò un’occhiata d’intesa, quelle che si rivolgono a chi ti ha sorpreso oltre ogni aspettativa. Antonella Floss e- ra già seduta davanti alla scacchiera con i pezzi in posizione di partenza, e come se non bastasse si era messa una minigonna a fiori, il che rendeva la nostra partita spettacolare in partenza.
E la partita cominciò. Non so se fu per via del piccolo pubblico che assisteva alle nostre mosse, o per il fascino di quella quindicenne dai lunghi capelli biondi e dagli occhi di gatta. Sta di fatto che scelsi un’apertura particolarmente brillante, ma anche particolarmente complicata a detta dello stesso Fischer. Un’apertura che mi permettesse di far colpo su Antonella Floss, così bella di suo, e ancora più bella mentre pensava in silenzio davanti a me.
Una mossa dopo l’altra, lei stava cadendo nella combinazione che avevo imparato a memoria. Non stavo giocando, stavo recitando i versi di una poesia…
Ma la memoria è traditrice. Mentre continuavo a chiedermi se Antonella sarebbe rimasta stregata dalla mia bravura, a un certo punto mossi la regina, e come l’ebbi mossa mi resi conto di avere scambiato una mossa per l’altra. Una cantonata clamorosa, che mi esponeva a un doppio scacco di cavallo; se Antonella Floss se ne fosse accorta mi avrebbe mangiato la regina, e con ogni probabilità avrebbe vinto la partita.
La mia avversaria pensava; e più pensava, più era bella. Che quello schianto di quindicenne fosse una scacchista immersa negli abissi delle combinazioni sembrava alquanto inverosimile, ma, appunto, la vita è piena di sorprese. Cercavo di ostentare indifferenza ma in realtà sudavo freddo, lo sguardo inchiodato alla regina, terrorizzato dalla figuraccia in arrivo (fu allora che ebbi il primo lampo di consapevolezza: per uno scacchista uomo, un avversario donna non è mai una passeggiata. Leggendo La psicologia del giocatore di scacchi di Ruben Fine avrei imparato che il genio scacchistico consiste nel sottomettere l’immaginazione al calcolo, ma quando entra in scena una donna addio calcoli. Non sono diventato l’erede di Bobby Fischer ma un giocatore da caffè che ha sfidato gli avversari più disparati. Con le donne, però, preferisco evitare. Non è che non mi fidi di loro; non mi fido di me).
ANTONELLA Floss scavallò le gambe sotto il tavolo, allungò la mano e finalmente mosse. Un pedone avanzò di due case verso il centro della scacchiera. Nonostante la lunga meditazione, i verdi occhi di gatta non erano stati sfiorati dalla mossa di cavallo che le avrebbe fatto vincere la partita. Per grazia ricevuta, trovai la forza di guardarmi attorno. La piccola platea maschile era concentrata sul viso e sulla minigonna di Antonella; quasi nessuno osservava la scacchiera, tantomeno poteva aver nota- to il mio svarione.
Diciamo la verità: chi se la filava, la partita?
Ero salvo. Abbandonai immediatamente la tattica brillante e, con tecnica di grigio ragioniere presi l’iniziativa tirandola più in lungo possibile, consapevole che un attimo dopo avere vinto la partita avrei perso tutto il resto.
“Scacco matto”, annunciai a malincuore, poi le tesi la mano.
“Quando vuoi facciamo la rivincita”.
Lei sorrise, e per la prima volta parlò.
“Grazie, magari il prossimo anno. Ora sei troppo forte per me”.
Era vero il contrario, ma non ebbi il coraggio di dirglielo; né allora né due giorni dopo, quando alla festa finale del corso vidi il maestro Di Bona invitarla a ballare