Il Fatto Quotidiano

“Attacco criminale, stiamo con il Vesuvio”

Il Pomigliano jazz festival chiude con un concerto di denuncia

- LUCIANO CERASA

Ha

il sapore di un rito di riconcilia­zione nei riguardi del dio vulcano, sfidato e vilipeso dall’umanità con il suo stesso elemento, il fuoco, il concerto che il Pomigliano jazz festival ha organizzat­o domenica scorsa sulla cima del Vesuvio.

L’OBIETTIVO della manifestaz­ione, a soli dieci giorni dall’inferno di fiamme che ha sconvolto la pelle viva del vulcano più famoso e temuto al mondo, è dichiarato: “È stato un attacco criminale, per questo il concerto di stasera è un messaggio d’amore che costruiamo insieme per ribadire un solo concetto: noi stiamo con il Vesuvio” spiega Onofrio Piccolo, l’organizzat­ore del festival che da 22 anni anima da prima solo il centro della città operaia e poi anche gli antichi borghi agricoli dei dintorni, con una cultura jazzistica che a Napoli ha le stesse radici della Tammurriat­a nera. Vigneti e piantagion­i di ortaggi tipici come il pomodorino del piennolo, che qui offrono in un cartoccio come uno street food, sono finiti nel calderone immenso dei fuochi appiccati in questi giorni, insieme a 610specie vegetali, lepri, volpi e 50 milioni di api che fabbricava­no un miele unico. Oggi, per chi affronta i tornanti che si snodano in salita da Ercolano, le pendici del Vesuvio offrono solo due tonalità di colore: il grigio cupo dei tronchi carbonizza­ti che si confonde con quello delle rocce laviche, e il marrone “bruciato” di rami e foglie lambiti da fumo e fiamme. Arrivati al parcheggio a mille metri di altitudine al cospetto del monte Somma, l’odore di cenere e brace prende ancora la gola. Da lì parte il sentiero per l’ultimo strappo di 300 metri che porta al cratere. Una guida del parco indica sconsolato alle centinaia di persone che si assiepano davanti al punto di raccolta del concerto una striscia nera che serpeggia sotto al monte: “Quella è la colata lavica dell’eruzione del 1944, fino alla settimana scorsa era ricoperta di un lichene particolar­e che la colorava di grigio, nelle notti di luna piena come questa i riflessi argentati si vedevano fino alla tangenzial­e di Napoli”. Il presidente dell’Ente parco, Agostino Casillo, si lamenta: “Ci hanno accusato di non avere piani anti-incendio adeguati ma davanti al dolo che potevamo fare?”. E ci mostra un video ripreso con il suo telefonino: “Vede? I punti d’innesco formano un triangolo, in modo da far congiunger­e i fronti del fuoco”.

I CANCELLIsi aprono e una lenta procession­e si avvia verso la cima del vulcano. Mezzora di cammino immersi nel caldo africano che ancora non dà tre- gua e sospesi nel cielo del golfo, per arrivare al palco sistemato al limite di una striscia di lapilli strappata alla cresta e delimitata da due precipizi: a sinistra l’immensa bocca del Vesuvio, a destra il profilo di Sorrento, Capri, Ischia e Procida. Sopra, la rassicuran­te presenza di un sismografo. Ci si siede a terra e si aspetta il tramonto e l’inizio dell’inedito concerto live di Paolo Freu e Daniele Di Bonaventur­a: “Vesuvio in Maggiore.” Non si può battere le mani “per non spaventare gli uccelli” e per mostrare il proprio apprezzame­nto agli artisti il pubblico agita le mani in aria come farfalle. Il vecchio divieto d el l’Ente parco –i m po st o all’organizzaz­ione in cambio del godimento di quella striscia di terra sospesa tra inferno e paradiso – in mezzo a tanta devastazio­ne oggi fa ridere: amaro.

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Il pubblico Tanti i napoletani che hanno risposto all’appello

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