“Le Ong sono in buona fede, ma agevolano i trafficanti”
Favoreggiamento Le accuse dei pm non riguardano le organizzazioni, ma singoli operatori per episodi specifici. Gli scafisti se ne approfittano
Hanno agito per motivi umanitari ma questo non elimina la loro responsabilità penale. Forse bisogna partire da questo concetto, più volte espresso dal gip di Trapani Emanuele Cersosino, per districarsi in quest'inchiesta e comprenderla fino in fondo. Di certo, insomma, secondo l’accusa, in alcuni casi i trafficanti hanno tratto un profitto dai comportamenti di alcuni volontari.
IL “FATTO” ieri ha rivelato che, tra gli indagati per favoreggiamento all'immigrazione clandestina, compaiono anche alcuni operatori di Save the children. È il nome della terza Ong coinvolta nell'indagine, dopo la Jugend Rettet e Medici Senza Frontiere, ma le contestazioni non riguardano le organizzazioni umanitarie, bensì singoli episodi, riferibili a singoli operatori che, sebbene spinti da motivazioni umanitarie, sono accusati di aver violato la legge. A motivare le accuse, come emerge dal decreto di sequestro della nave Iuventa, il riscontro dei contatti tra i trafficanti e alcuni operatori, attraverso alcune chat o utilizzando Internet, al fine di recuperare i migranti in mare. Contatti che, nei fatti, hanno favorito i trafficanti e i loro affari. Ma l'unico vero obiettivo dei volontari - secondo gli atti - , resta quello di salvare gli immigrati. Anche a costo – questo è il cuore dell'inchiesta – di favorire gli scafisti. I contatti ci sono stati. L'ipotesi di reato – tutte le volte in cui gli unici, a trarre beneficio dalle condotte degli operatori, sono stati solo i trafficanti e non le vittime della tratta – è il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma il gip è chiaro nell'escludere, da parte degli operatori, una “prospettiva comune con quella delle organizzazioni operanti sul territorio libico”. E riferendosi all'Ong più radicale, la Jugend Rettet, precisa che “non vanno in alcun modo considerati come affiliati ai gruppi criminali operanti in territorio libico”. Il motivo: “Non ne condividono né metodi né finalità”. Tesi ribadita dall'accusa: “Le attività della Ong si pongono in una posizione diametralmente opposta” a quella dei trafficanti. Mira ad “agevolare l'aspirazione dei migranti a lasciare il territorio africano a prescindere dalla loro posizione”. Ovvero, a prescindere dal fatto che abbiano diritto alla protezione inter- nazionale. Un’aspirazione ideologica diversa da quella dei trafficanti. Tutto questo deve essere chiaro. Ma allora qual è il vero impatto di questi operatori nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina? È questo il punto. A giudicare dagli atti, la risposta non può essere uguale per tutti gli indagati, ma c’è un minimo comune denominatore: la scorciatoia, imboccata dai volontari, che, per salvare vite umane, hanno scelto di entrare in contatto con i trafficanti stessi. Accettando la prospettiva di favorire in qualche modo i loro aguzzini. In qualche caso, come per i volontari della Jugend, restituendogli persino l’imbarcazione. Invece di lasciarla dov’era. O di affondarla. Oppure, decidendo di non collaborare con le autorità italiane per identificare gli eventuali scafisti. Ma anche in questo caso, dalle intercettazioni emerge un'idealità, non una connivenza: “Katrin aggiunge che loro della nave Iuventa non consegneranno foto ove saranno identificabili i soggetti alla guida delle imbarcazioni, perché, in questo caso, la polizia potrebbe arrestarli in breve tempo senza sapere se si tratti di veri trafficanti”. E ancora: “Katrin so- stiene di sapere che centinaia di persone sono state accusate sulla base di fatti errati e rispedite verso l’Africa senza procedimento d’asilo politico”. È per questo - legale o illegale che sia - che sceglie di non collaborare. L’intento non è coprire gli scafisti, bensì non collaborare a errori e rimpatri che non condivide, il risultato però è coprire anche i criminali.
L’EQUIPAGGIO della Jugend non supera i trent’anni di età. Si ribellano, questo è il dato, ai confini e alle autorità: non sappiamo se il loro favoreggiamento sarà provato sotto il profilo legale, ma sotto il profilo sociale è rivendicato dalle loro stesse parole. Combattono una battaglia politica (condivisibile o no) ma di questo si tratta. Bisogna prenderne atto. Combattendola, però, sono accusati di commettere un reato. Diverso, dal punto di vista ideologico, sembra il piano degli operatori di Medici senza Frontiere e Save the Children. Non issano bandiere libiche “di cortesia”, non restituiscono scafi, ma anch’essi - secondo le accuse - entrano in contatto con gli scafisti. E gli scafisti ne approfittano. Ne traggono profitto. La loro logica è chiara: devo aspettare che la barca stia affondando? Non diminuirò il rischio per le loro vite, se conosco in anticipo le loro coordinate? È questa la scorciatoia e l’origine dell’eventuale reato. Ciascuno può darsi una risposta, interrogando la propria coscienza, ma non si può fingere di ignorare che, nei fatti, incentiva gli affari degli aguzzini e il traffico dei migranti. È questo il nodo dell’inchiesta.