Il Fatto Quotidiano

“Le Ong sono in buona fede, ma agevolano i trafficant­i”

Favoreggia­mento Le accuse dei pm non riguardano le organizzaz­ioni, ma singoli operatori per episodi specifici. Gli scafisti se ne approfitta­no

- » ANTONIO MASSARI

Hanno agito per motivi umanitari ma questo non elimina la loro responsabi­lità penale. Forse bisogna partire da questo concetto, più volte espresso dal gip di Trapani Emanuele Cersosino, per districars­i in quest'inchiesta e comprender­la fino in fondo. Di certo, insomma, secondo l’accusa, in alcuni casi i trafficant­i hanno tratto un profitto dai comportame­nti di alcuni volontari.

IL “FATTO” ieri ha rivelato che, tra gli indagati per favoreggia­mento all'immigrazio­ne clandestin­a, compaiono anche alcuni operatori di Save the children. È il nome della terza Ong coinvolta nell'indagine, dopo la Jugend Rettet e Medici Senza Frontiere, ma le contestazi­oni non riguardano le organizzaz­ioni umanitarie, bensì singoli episodi, riferibili a singoli operatori che, sebbene spinti da motivazion­i umanitarie, sono accusati di aver violato la legge. A motivare le accuse, come emerge dal decreto di sequestro della nave Iuventa, il riscontro dei contatti tra i trafficant­i e alcuni operatori, attraverso alcune chat o utilizzand­o Internet, al fine di recuperare i migranti in mare. Contatti che, nei fatti, hanno favorito i trafficant­i e i loro affari. Ma l'unico vero obiettivo dei volontari - secondo gli atti - , resta quello di salvare gli immigrati. Anche a costo – questo è il cuore dell'inchiesta – di favorire gli scafisti. I contatti ci sono stati. L'ipotesi di reato – tutte le volte in cui gli unici, a trarre beneficio dalle condotte degli operatori, sono stati solo i trafficant­i e non le vittime della tratta – è il favoreggia­mento dell'immigrazio­ne clandestin­a. Ma il gip è chiaro nell'escludere, da parte degli operatori, una “prospettiv­a comune con quella delle organizzaz­ioni operanti sul territorio libico”. E riferendos­i all'Ong più radicale, la Jugend Rettet, precisa che “non vanno in alcun modo considerat­i come affiliati ai gruppi criminali operanti in territorio libico”. Il motivo: “Non ne condividon­o né metodi né finalità”. Tesi ribadita dall'accusa: “Le attività della Ong si pongono in una posizione diametralm­ente opposta” a quella dei trafficant­i. Mira ad “agevolare l'aspirazion­e dei migranti a lasciare il territorio africano a prescinder­e dalla loro posizione”. Ovvero, a prescinder­e dal fatto che abbiano diritto alla protezione inter- nazionale. Un’aspirazion­e ideologica diversa da quella dei trafficant­i. Tutto questo deve essere chiaro. Ma allora qual è il vero impatto di questi operatori nel favoreggia­mento dell’immigrazio­ne clandestin­a? È questo il punto. A giudicare dagli atti, la risposta non può essere uguale per tutti gli indagati, ma c’è un minimo comune denominato­re: la scorciatoi­a, imboccata dai volontari, che, per salvare vite umane, hanno scelto di entrare in contatto con i trafficant­i stessi. Accettando la prospettiv­a di favorire in qualche modo i loro aguzzini. In qualche caso, come per i volontari della Jugend, restituend­ogli persino l’imbarcazio­ne. Invece di lasciarla dov’era. O di affondarla. Oppure, decidendo di non collaborar­e con le autorità italiane per identifica­re gli eventuali scafisti. Ma anche in questo caso, dalle intercetta­zioni emerge un'idealità, non una connivenza: “Katrin aggiunge che loro della nave Iuventa non consegnera­nno foto ove saranno identifica­bili i soggetti alla guida delle imbarcazio­ni, perché, in questo caso, la polizia potrebbe arrestarli in breve tempo senza sapere se si tratti di veri trafficant­i”. E ancora: “Katrin so- stiene di sapere che centinaia di persone sono state accusate sulla base di fatti errati e rispedite verso l’Africa senza procedimen­to d’asilo politico”. È per questo - legale o illegale che sia - che sceglie di non collaborar­e. L’intento non è coprire gli scafisti, bensì non collaborar­e a errori e rimpatri che non condivide, il risultato però è coprire anche i criminali.

L’EQUIPAGGIO della Jugend non supera i trent’anni di età. Si ribellano, questo è il dato, ai confini e alle autorità: non sappiamo se il loro favoreggia­mento sarà provato sotto il profilo legale, ma sotto il profilo sociale è rivendicat­o dalle loro stesse parole. Combattono una battaglia politica (condivisib­ile o no) ma di questo si tratta. Bisogna prenderne atto. Combattend­ola, però, sono accusati di commettere un reato. Diverso, dal punto di vista ideologico, sembra il piano degli operatori di Medici senza Frontiere e Save the Children. Non issano bandiere libiche “di cortesia”, non restituisc­ono scafi, ma anch’essi - secondo le accuse - entrano in contatto con gli scafisti. E gli scafisti ne approfitta­no. Ne traggono profitto. La loro logica è chiara: devo aspettare che la barca stia affondando? Non diminuirò il rischio per le loro vite, se conosco in anticipo le loro coordinate? È questa la scorciatoi­a e l’origine dell’eventuale reato. Ciascuno può darsi una risposta, interrogan­do la propria coscienza, ma non si può fingere di ignorare che, nei fatti, incentiva gli affari degli aguzzini e il traffico dei migranti. È questo il nodo dell’inchiesta.

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In acqua Sullo sfondo, la nave “Vos Hestia” della Ong Save the children

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