Il crollo in Borsa e la doppia vita dell’Ad: i segreti di Telit
“Internet delle cose” Mentre la società tecnologica presieduta da Chicco Testa finisce sotto attacco per i suoi risultati, riemergono i guai legali del manager Oozi Cats
Ieri, alla Borsa di Londra, Telit Communication ha perso il 41,5 per cento in un giorno solo: un tracollo così non si vedeva da tempo. L’azienda ha presentato ieri i conti trimestrali, i mercati avevano aspettative migliori e sono rimasti delusi: i ricavi sono saliti del 7 per cento a 177,5 milioni ma il risultato finale è una perdita di 6,7 milioni invece che un utile di 4,7 milioni come un anno fa e il dividendo 2017 è in dubbio.
Non è solo una notizia di finanza per i trader della city, perché quella di Telit è una storia italiana. Il presidente è il renziano Chicco Testa (385.000 euro di stipendio nel 2016), si deve sicuramente a lui il finanziamento di 10.000 euro a Matteo Renzi per le primarie 2012. Nel 2011, il fondo Algebris di Davide Serra ha investito nell'azienda con decisione ma dopo poco se n’è andato, come se avesse visto qualcosa che non lo convinceva. E Telit, dal governo italiano, ha ricevuto 28 milioni di euro nel 2013, altri 30 nel 2016 e sta aspettando il responso su ulteriori 20 milioni: fondi del ministero dello Sviluppo per la ricerca nell’attuale business di Telit, i chip che permettono ad apparecchi tecnologici di comunicare tra loro, ormai celebre come “Internet delle cose”, risorse che dovrebbero alimentare lo sviluppo dei centri di ricerca di Cagliari e Trieste.
Dalle origini agli israeliani
Telit nasce in Italia nel 1986 da un gruppo di tecnici che venivano dalle comunicazioni militari e intuisce il futuro dei cellulari. Quando ancora si chiama Telital, inizia a costruire telefoni portatili più piccoli di quelli Nokia per Telecom Italia. Poi l’azienda rimane soffocata nell’intreccio del capitalismo di relazione all’italiana, nel 2003 è piena di debiti e viene rilevata dall’israeliana Dai Telecom. “Il suo unico patrimonio è un pacchetto di accordi di fornitura di cellulari con Tim (pari all’80 per cento del fatturato), ed è questo a convincere gli israeliani a comp ra re ”, ha ricostruito nel 2013 Claudio Gatti sul Sole 24 Ore. Alcuni manager Te- lit, tra cui Sergio Vicari e Michelangelo Agrusti, decidono però di lasciare Telit e fondare una società concorrente, Bora, che doveva distribuire proprio quei prodotti Microcell per cui Telit aveva l’esclusiva. Bora avvia trattative con Telecom, che le ordina subito 100.000 cellulari Microcell, e poi cambia nome in Onda Communication. Finirà in liquidazione nel 2012.
Dietro Dai Telecom c’è il fondo di investimento Polar Investments per cui lavora il manager Oozi Cats . Telit rinasce come Telit Communications. Nel 2005 si quota al mercato di Londra, nel 2006 coopta in consiglio di amministrazione M au rizio Gasparri, fino a pochi mesi prima ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi, con il quale avevano discusso diversi progetti legati al digitale terrestre in Italia. Non solo: in campagna elettorale, Gasparri era anche stato finan- ziato con 19.900 euro dalla Satyricon Services in Svizzera: “È un versamento della società israeliana Telit”, aveva spiegato all’Espresso.
Nel 2007, Oozi Cats realizza un’operazione di management buyout, quando i manager comprano l’azienda che guidano, e rileva il 28 per cento da Polar Invest- ments con una cordata di imprenditori riunita intorno a Franco Bernabè. Alla guida della società va proprio un manager socio di Bernabè, Chicco Testa. E almeno per Oozi Cats la Telit è un ottimo affare: a fronte di 47,6 di dollari di utile netto generati dalla Telit, Cats ottiene compensi per 19,9 milioni. Quasi la metà degli utili vanno al capo azienda.
Le scommesse al ribasso
Sui siti finanziari, da qualche mese, Telit si è fatta la fama della compagnia più “shortata” della City, quella su cui ci sono più scommes- se sul crollo del valore delle azioni. Eppure l’azienda è inserita in un business molto promettente e alla moda – quello delle macchine che comunicano tra loro – e ci sono pure voci dell’interesse di alcuni fondi di private equity. Ma molti hanno perplessità su come Telit viene gestita oggi. Il crollo di ieri lo certifica, ma i timori sono diffusi da mesi.
I segnali che preoccupano gli investitori sono tanti, a cominciare dal cambio di quattro diverse società di revisione dei conti in dieci anni. Ma poi ci sono ragioni più strutturali: i ricavi aumentano, ma non aumenta
la cassa, a fronte dei prodotti che risultano venduti non entrano i soldi corrispondenti. E questo sembra un po’ strano agli analisti. I crediti commerciali continuano a crescere, da 76,7 milioni di un anno fa a 92,3 milioni, ma se le vendite aumentano sulla carta senza che entrino nelle casse le somme corrispondenti è un problema. Anche altri due timori degli investitori sembrano confermati dai conti di ieri: il boom del mercato asiatico, soprattutto Corea, è rallentato. L’ultima delle tante acquisizioni per le quali Telit ha chiesto soldi al mercato, GainSpain (siste- mi wi-fi), ha pesato in negativo sui conti.
Telit si occupa di tecnologia, è normale che investa molto in ricerca e sviluppo. Ma ogni anno scorpora dai costi per mettere a patrimonio cifre ingenti, 18 milioni di sterline in sei mesi nel 2017, 15,3 un anno fa, cifre simili negli anni precedenti. Prima o poi quegli investimenti daranno risultati, si spera, intanto però permettono a Telit di presentare risultati operativi più invitanti per i mercati, visto che i costi (depurati dalle spese di ricerca e sviluppo) ogni anno sembrano molto bassi. Il direttore finanziario Yosi Fait ha esercitato le sue opzioni per 500.000 azioni a 206 sterline e ha rivenduto le 173.157 azioni risultanti più altre 315.000 al prezzo di 310 sterline. “Quello che si dice un ottimo tempismo”, nota il sito Interactive Investor che ha dato la notizia, visto che ieri il titolo Telit ha chiuso soltanto a 166 sterline.
L’arresto di Uzi Katz in Usa
“Nel complesso rimaniamo fiduciosi su una solida performance nella seconda metà dell’a nno”, ha detto ieri l’amministratore delegato Oozi Cats che detiene il 12,6 per cento del capitale. Anche lui, in questi anni, sembra aver trovato il modo di far vedere ai mercati soltanto il suo lato migliore. Secondo documenti di cui il Fatto è in possesso, fino al 1992 a Boston lavorava un certo Uzi Katz (traslitterazione corretta del nome in ebraico dell’ad di Telit) della stessa età di Oozi Cats, entrambi hanno unamoglie di nome Ruth e un passato di studi in Massachusetts.
Il 15 maggio 1992, il Boston Globe racconta che anche l’Fbi si sta occupando dell’accusa di frode contro Uzi e Ruth Katz. Identificavano immobili in vendita, ne gonfiavano il prezzo con compravendite fittizie (usavano una società chiamata Dolphinvest), costruendo
una finta storia della casa al centro dell’affare, e sulla base di quel valore esagerato ottenevano poi un mutuo dalla banca che non poteva essere rimborsato: tre anni, tra il 1988 e il 1991, 41 immobili e finanziamenti bancari con basi fasulle per 4,9 milioni di dollari dell’epoca. Secondo i documenti della giustizia americana in possesso del Fatto, il procuratore Wayne Buddchiede l’arresto dei coniugi Katz che poi viene eseguito. Dalle carte viste dal Fatto, sembra di capire che ci sia stato un tentativo di accordo con la Procura, ma poi qualcosa dev’essere andato storto e i coniugi Katz spariscono. L’ultima in form azio ne ufficiale nelle banche dati della giustizia americana risale al 20 aprile 1999 e Uzi Katz è indicato come “fugitive defendant”, un ricercato in fuga.
Poi l’accusato di frodi immobiliari Uzi Katz sparisce e appare il manager Oozi Cats. Ma con Google si trovano decine di Uzi Katz che vivono ora a Boston, un fioraio, un violinista, uno chef di hamburger, perfino uno sviluppatore immobiliare, siti appena accennati, tutti con lo stesso stile, privi perfino delle informazioni sui contatti (e chissà se ci sono davvero tutti questi 30 Uzi Katz a Boston). Ma che rendono quasi impossibile arrivare alle informazioni sulla frode immobiliare del vero