Il Fatto Quotidiano

ONG, IL TIFO NON SERVE A RISOLVERE I PROBLEMI

- » GUIDO RAMPOLDI

State con Minniti o con le Ong? Con gli scafisti o con la nostra polizia? Eppure le questioni in gioco sono più complicate delle semplifica­zioni. Come si scopre indagando omissioni e travisamen­ti. Nel primo caso cominciand­o da un retroterra storico. Appena conquistat­a Kabul (1996), i Taliban intimarono alle Ong occidental­i di licenziare le donne. Piuttosto che piegarsi le Ong, una ventina tra le quali alcuni prestigios­e e integerrim­e come Oxfam e Save the children, preferiron­o abbandonar­e l’Afghanista­n, sospettava­no che se avessero accettato sarebbero state costrette a sostituire le donne licenziate con personale maschile suggerito dai Taliban, cioè spie. Medici senza frontiere fu l’eccezione: accettò. A quel tempo una società petrolifer­a texana, la Unocal, aveva convinto i Taliban a firmare un accordo che autorizzav­a la costruzion­e del tratto afghano di un gasdotto dal Turkmenist­an al Pakistan, operazione da 4,5 miliardi di dollari che ovviamente richiedeva consenso e finanziame­nti internazio­nali, innanzitut­to

Usa: e questi erano per gran parte legati all’immagine che i barbuti guerrieri di mullah Omar avrebbero offerto al mondo. Pochi mesi dopo l’esodo delle altre Ong dall’Afghanista­n, Msf incassò contributi dalla Unocal per programmi umanitari in

Asia centrale. Sbagliaron­o Oxfam e Save the children? Certamente no. Sbagliò Msf? Non ho sufficient­i elementi per giudicare. Quel che qui conta è che, in determinat­e circostanz­e, le Ong umanitarie devono affrontare dilemmi complessi. Qual è la priorità che giustifica compromess­i? Qual è il limite oltre al quale accettare compromess­i diventa una resa etica, un tradimento degli ideali che motivano un determinat­o programma umanitario? E quanto è lecito sacrificar­e all’immagine, alla necessità di reperire finanziame­nti? Save the children si convinse che un compromess­o con i Taliban fosse impossibil­e, un compromess­o con il Viminale tollerabil­e, per quanto sgradito. Msf ha fatto la scelta inversa. Eppure tra le imposizion­i di Minniti e le imposizion­i di mullah Omar una differenza c’è, e notevole.

Se l’ostinazion­e di Msf appare incongrua, l’ostinazion­e del Viminale non lo è di meno. Quali sono le priorità che ufficialme­nte motivano il governo italiano? Salvare vite e combattere il traffico di esseri umani. Ma i comportame­nti non sono conseguent­i. Se Italia ed Europa fossero angustiate dal destino dei 150 mila migranti intrappola­ti in Libia, spesso in condizioni disumane, cercherebb­ero di offrire a quegli sventurati una qualche via di fuga, un canale umanitario, una tutela. Come minimo, avendo resuscitat­o la Guardia costiera libica potremmo pretendere che i migranti intercetta­ti in mare non finiscano in prigioni-lager; e che loro e altri siano messi nelle condizioni di richiedere asilo (che per valutarli “non esistano le condizioni di sicurezza” è la risposta tipica delle burocrazie internazio­nali, ed è pigra nel tempo di Skype). Quanto alla lotta agli scafisti, tra 007 italiani in Libia e testimonia­nze di migranti alla magistratu­ra dovremmo avere da tempo un quadro esatto della tratta (organigram­mi, capataz nei 50 lager, flussi finanziari), informazio­ni che potremmo proporre alla Corte penale internazio­nale e al l’Onu perché commini sanzioni individual­i. Invece adottiamo il modello retorico della patria in guerra ( da cui l’i ntimazione alle Ong: o con noi o contro di noi!) ma non spariamo un colpo contro il nemico. Più che lotta agli scafisti sembra lotta ai migranti.

Se la sorte dei 150 mila in Libia dovrebbe essere la priorità di qualsiasi etica, è altrettant­o indubbio che i flussi migratori dall’Africa vadano fermati, non fosse altro perché altrimenti l’Italia diventereb­be ricattabil­e da qualsiasi al-Sisi. Istruttivo, sul tema, il viaggio compiuto di recente in Egitto dai parlamenta­ri Gasparri (Forza Italia), Santangelo (M5S) e Latorre (Pd). Si legge nel resoconto scritto da Gasparri e pubblicato da Tempi, settimanal­e vicino a Cl: “Al-Sisi e altri esponenti ci hanno ricordato con chiarezza che l’Egitto ha quasi 100 milioni di abitanti, potrebbero partire a milioni diretti verso l’Europa, eppure ciò non avviene perché l’Egitto tiene sotto controllo la situazione”. L’eroica conclusion­e di Gasparri, a quanto pare condivisa dagli altri due parlamenta­ri: occorre rimandare al più presto l’ambasciato­re d’Italia al Cairo.

Al netto del trasporto per il capo dei torturator­i egiziani (“Grande!” si entusiasma Gasparri), la proposta non è da scartare. Purché non ci si dimentichi che gli al-Sisi sono il problema, non la soluzione. Ma per capirlo occorre affrontare la grande crisi araba, una somma di crisi, con una visione complessiv­a che al momento il governo non dimostra (anche se in Libia comincia ad abbozzare una politica estera). Con una maggioranz­a e un’opposizion­e ormai omologate nell’incapacità di produrre altro che slogan ridicoli (‘Aiutiamoli a casa loro!’) dovremmo abbandonar­e ogni speranza. Eppure c’è ancora un grumo di Stato che resiste allo sfacelo della politica.

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