Il Pistolero non spara più: si ritira Contador
Lascia uno dei campioni più vincenti (e chiacchierati). L’addio a settembre dopo la Vuelta
La Vuelta 2017, a settembre, sarà l’ultima corsa di Alberto Contador. Magari la sua ultima “fucilata”, se il Pistolero riuscirà a concludere in bellezza quella che è stata una grande carriera, nel bene e nel male. I suoi tifosi l’hanno chiamato così per la sua tipica esultanza. E lui, finché ha potuto, non ha risparmiato i rivali, vincendo tutto quello che poteva vincere, anche a costo di incappare in una squalifica per doping (e in sospetti ancor più grandi di quanto provato).
Una delle mille contraddizioni di un personaggio indefinito, anche al momento dell’addio alle porte dei 35 an- ni, quando la parabola discendente è già iniziata da un pezzo. Amante della caccia ma pure degli animali, ufficiale o gentiluomo, santo ( lui che sulla bicicletta ha anche rischiato di morirci a inizio carriera per un aneurisma cerebrale, quasi un miracolato) o impostore?
DI SICURO Alberto Contador ha segnato la storia del ciclismo contemporaneo. E non solo per quanto ha vinto. Cinque grandi giri consecutivi tra 2007 e 2010, tre Tour de France, tre Vuelte e due Giri d’Italia in totale (un paio revocati). Uno dei pochi ad aver conquistato la cosiddetta “tripla corona”: Eddy Merckx, Felice Gimondi, Jacques Anquetil, Bernard Hinault, Vincenzo Nibali. Nell’Olimpo delle due ruote resterà anche lui
Le accuse di doping, qualcosa più di semplici sospetti e meno di sentenze infamanti, hanno solo scalfito la sua immagine. Del resto, nell’ultimo ventennio ci sono passati praticamente tutti, almeno quelli che hanno dominato salite e cronometro con passo disumano. Contador nelle maglie dell’antidoping ci è caduto nel 2010: positivo al clenbuterolo, un broncodilatatore che gli è costato 2 anni di stop (retroattivi) e un paio di trofei. Briciole, a confronto di quanto vinto e delle accuse vere: il suo nome compariva pure nelle carte dell’inchiesta “Operacion Puerto”, che ha fatto tremare i vertici dello sport iberico prima di dissolversi nel nulla.
La squalifica non ha mai interrotto per davvero la sua carriera, l’ha solo spezzata in due. La seconda vita, da reo (mai confesso: si è sempre proclamato innocente, sostenendo la tesi di una bistecca contaminata), è stata diversa. Ha vinto ancora ma di meno, un altro Giro e un’altra Vuelta (non alla Grande Boucle, dove dopo la squalifica non è più entrato nemmeno fra i primi 3). Ha faticato e lottato, collezionando delusioni, cadute e sconfitte, accontentandosi di fughe da lontano e piccoli successi di tappa. Ha perso anche molto: sempre negli ultimi anni dall’ “alieno” Froome al Tour, ma pure dal carneade Chaves che nel 2016 l’ha buttato giù dal podio della Vuelta, dove riproverà a salire per l’ultima volta a settembre. “Non ho rimpianti, ci ho riflettuto molto, non penso ci sia modo migliore della gara di casa per dire addio”. È diventato umano. E magari ora che ha deciso di ritirarsi ci mancherà persino.