Spread, Imu e il resto Come farsi ri-fregare dalla “Silvionomics”
Un governo immobile nel 2011 si fece imporre dall’Ue i tagli, dalla Bce le scelte economiche e da Parigi l’attacco alla Libia
Basta un numero: 574. Il record dello spread, la differenza tra rendimento dei titoli di Stato italiani e tedeschi, del 9 novembre 2011. Il giorno precedente Silvio Berlusconi ha detto di voler approvare la legge di Stabilità, prima di dimettersi. E i mercati hanno un sussulto di panico. Perché dall’estate precedente il governo di centrodestra ha perso il controllo della politica economica. Soltanto la lettera della Bce, a inizio agosto 2011, ha dato un’ultima occasione per rimanere al potere: una lista di riforme da approvare in cambio del congelamento dell’operazione governo tecnico che era già iniziata (Mario Monti torna in panchina per qualche mese) e del sostegno della Banca centrale europea. Ma l’opposizione della Lega a ogni intervento sulle pensioni di vecchiaia si trasforma nella conferma, agli occhi dei mercati, che Berlusconi non sta più governando, con l’alleato di coalizione che blocca tutto e i due ministri economici – Giulio Tremonti e Renato Brunetta – che neanche si parlano più.
LO STRASCICOdel berlusconismo non finisce con Berlusconi: il governo Letta prima e quello Renzi poi distruggono ogni ipotesi di federalismo fiscale perché devono rispettare l’ossessione berlusconiana di abolire l’Imu sulla prima casa (in gran parte già cancellata ai tempi del governo Prodi). Così i Comuni si trovano privi dell’unica imposta che potevano raccogliere autonomamente. L’Italia resta, tra i Paesi occidentali, uno dei pochi praticamente senza tassa di successione, sempre per rispettare un dogma berlusconiano. E ogni anno la sessione di bilancio diventa un dramma, con le proteste dei malati, perché dopo la decisione del governo Berlusconi di azzerare di fatto il fondo per le non autosufficienze (era di 400 milioni nel 2010) bisogna sempre ripartire quasi da zero.
Per stare poi al livello europeo, i pacchetti di regolamenti e direttive noti come Six Pack e Two Pack che hanno introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio e il taglio del deficit, sono stati approvati senza proteste sotto il governo Berlusconi, con Giulio Tremonti ministro dell’Economia. E la seconda versione del trattato di Dublino, quello che prevede l’obbligo per il Paese di prima accoglienza (l’Italia) di farsi carico dei richiedenti asilo risale al precedente governo Berlusconi, cioè al 2003. Nel 2011 poi, con un governo già indebolito, Berlusconi si è lasciato scippare l’iniziativa in Libia dalla Francia di Nicolas Sarkozy e, nel giro di poche settimane, è passato da miglior alleato del dittatore Muhammar Gheddafi a sostenitore dei suoi nemici. L’Italia sta ancora pagando quella perdita di influenza.
NON SI PUÒ certo dire che l’ex Cavaliere abbia imparato dai suoi errori. Nelle interviste che ha rilasciato negli ultimi mesi ha delineato un programma che finora non è stato preso sul serio da nessuno, ma se il centrodestra aumenta le probabilità di arrivare al governo prima o poi qualcuno lo analizzerà. Berlusconi propone tra le altre cose una flat tax sui redditi che addirittura farà aumentare il gettito dello Stato (la proposta più articolata, quella dell’Istituto Bruno Leoni, prevede invece un calo di entrate di 31,2 miliardi da coprire con tagli di spesa). Per rassicurare l’Europa annuncia anche che riporterà il debito sotto il cento per cento del Pil, che oggi è al 133,3 per cento, attraverso “la riduzione della spesa pubblica e degli interessi”(ma gli interessi valgono solo 66,5 miliardi all’anno, a fronte di un debito pubblico di 2.280). E nonostante tutti questi tagli, Berlusconi promette anche un “reddito di dignità”, per intercettare i voti dei Cinque Stelle. I numeri e le coperture non sono un problema, almeno fino a quando queste politiche rimarranno slogan. Se dovessero essere applicate, il finale lo conosciamo già, lo abbiamo visto nel 2011 con l’Italia a un passo dalla bancarotta.