SCUOLA, 50 ANNI DI MALE IN PEGGIO
Dopo il brutto ruzzolone del MIUR col decreto sul varo di 100 classi di liceo sperimentali a quattro anni, varo che dovrebbe andare a regime alla chiusura del ciclo e valutata la riuscita della sperimentazione, ecco un altro patatrac: non sta funzionando la genialata della scelta diretta, da parte dei presidi, per gli incarichi ancora scoperti, di nuovi docenti di ruolo titolari in ambito territoriale. Basti il dato di Milano, dove pare che le prime stime rivelino che un dirigente scolastico su due abbia rinunciato alla chiamata diretta.
I motivi? Possono essere i più svariati: una scelta ideologica ampiamente condivisibile; la necessità di andare in ferie; o, più semplicemente, la volontà, da parte dei docenti, di non rispondere alle chiamate dirette, delegando tutto al cervellone del computer ministeriale (intasato, peraltro, e di difficile accesso) e agli uffici scolastici provinciali, che dovrebbero, a partire dal 17 agosto ( un’ottima data!), verificare gli organici rimasti disponibili e affidare all’impersonalità dell’al go ri tmo le nomine. E chissà che cosa avverrà quando si procederà con le supplenze annuali e con quelle fino al termine delle attività didattiche e con le supplenze brevi, dove vige una graduatoria distinta in tre fasce: i
GAE (Graduatorie a esaurimento) che non sono riusciti a entrare di ruolo; i non GAE ma abilitati; gli aspiranti non abilitati ma forniti di valido titolo di studio per la graduatoria richiesta. Un esercito in attesa.
Mi perdoni il lettore la minuzia dei distinguo: ho cercato, in realtà, di semplificare al massimo quello che ormai appare un groviglio di incroci e che pesa come una palla di piombo sulla scuola italiana; ho omesso le procedure per cui, per una serie di inghippi dovuti alle rinunce, potrà accadere che se non gli ultimi i penultimi saranno i primi, ricevendo come dono prenatalizio ( non pensiate che tutte le classi riescano a essere coperte in settembre) una sede più comoda di quelle ottenute dai primi in classifica. C’è da chiedersi, invece, risalendo indietro negli anni, da dove abbia origine il caos. Torno alla metà degli anni Sessanta. Che adesso mi pare l’età dell’oro della scuola per la semplicità delle procedure. Un neolaureato doveva semplicemente iscriversi agli esami di abilitazione (scritto e orale, severi), tenuti annualmente (niente SSIS, Scuole di Specializzazione per l’insegnamento secondario, per buona sorte; niente corsi abilitanti ecc.) e, se superati, iscriversi l’anno successivo a un concorso con prove scritte e orali per cui avesse titolo, in modo da entrare di ruolo.
QUANTO agli incarichi o alle supplenze annuali, venivano conferiti a partire da due semplici graduatorie, quella degli abilitati e quella dei non abilitati. Se non eri abilitato in genere ti toccava una scuola media inferiore, come accadde a me il primo anno, quando fui destinato alla Scuola Media Seconda di Paderno Dugnano, sezione staccata nella frazione di Calderara. Scuola dove, peraltro, mi trovai benissimo, mi divertii molto e, ottenuta l’abilitazione e passato l’anno successivo a un liceo, la rimpiansi.
Gli stipendi mensili iniziali non erano grami: circa 100.000 lire contro i 1.300 euro di oggi. Basti dire che una Cinquecento costava poco meno di 500.000 lire, mentre oggi la più economica costa 14.000 euro. Un rapporto di uno a cinque (allora) contro l’uno a 10,76 di oggi. Bella differenza. Alzare non a parole gli stipendi no, vero ministro?
Cominciarono i guai nei primi Anni Settanta, quando il Ministero varò corsi abilitanti speciali, poi, nel 1973, concorsi per l’immissione in ruolo per soli titoli riservati agli abilitati.
Fu allora che nella scuola entrò di tutto: gente brava ma anche incompetenti o fannulloni. Risparmio al lettore le leggi che favorirono altri corsi abilitanti, sessioni riservate, immissioni in ruolo con un biennio di servizio tra il 1975 e il 1981, e il cosiddetto “doppio canale”. Chi non riusciva a entrare, aveva comunque precedenze di vario tipo nelle supplenze. Si aggrovigliarono così anche le norme per le chiamate dei supplenti da parte dei presidi. Basti dire che nel 1992 c’erano ben otto graduatorie da scorrere per una nomina! Veniamo a ieri: risultano nella scuola, per il 2016/17, circa 125.000 posti coperti da supplenti fino al termine delle attività didattiche. Ma qual è il numero reale della massa di supplenti che vivacchiano con supplenze brevi? Per le cattedre di matematica saranno alla fine vacanti, dai 3.817 di oggi, almeno 1.600 posti. Crisi vocazionale? Più semplicemente il matematico trova altro lavoro meglio pagato fuori della scuola, il letterato no, non ha molte altre risorse: la fiumana degli aspiranti si affida al carrozzone delle supplenze per fasce, cercando di accumulare crediti anche assurdi per aumentare il punteggio. Se ne verrà mai fuori?