Il Fatto Quotidiano

Da Minniti ad Alfano, corsa a gestire la “Fase 2” in Libia

Finché gli sbarchi sono sotto controllo, bisogna rafforzare il premier Sarraj

- » STEFANO FELTRI

Con l’invio dell’ambasciato­re Giampalo Cantini al Cairo, dopo oltre un anno di assenza per le tensioni con il regime di Al-Sisi intorno alla morte di Giulio Regeni, comincia la fase 2 della strategia del governo Gentiloni sulla Libia. La fase 1 si è chiusa di fatto domenica con la soluzione della questione Ong: Medici Senza Frontiere ha sospeso le operazioni di ricerca e soccorso, così come Save the Childrem e Sea Eye, la nave Iuventa di Jugend Rettet è sequestrat­a dalla Procura di Trapani, il pescherecc­io di Open Arms è fermo in porto. E il governo libico di Tripoli sta cercando di costruire la sua zona Sar ( Search and Rescue, ricerca e soccorso) oltre le 12 miglia dalle acque territoria­li, zona nella quale non vuole navi private che si muovono liberament­e, oppure spara.

FRONTEX, L’AGENZIA e uropea che sorveglia le frontiere, ha certificat­o che in luglio ci sono stati 15.400 sbarchi illegali in Europa, ma quelli in Italia “sono crollati di più della metà rispetto al mese precedente”, mentre la pressione sulla Spagna torna al livello del 2009. Questo rallentame­nto ha varie spiegazion­i: “Le cattive condizioni del mare nella prima metà di luglio, gli scontri vicino a Sabrata, una delle are chiave delle partenze dalla Libia, che hanno condiziona­to l’attività dei trafficant­i nell’area, e la presenza della Guardia Costiera libica che ha scoraggiat­o i trafficant­i dal far partire navi cariche di persone”, nota Frontex.

Senza migranti e senza più Ong che fungono da pull factor, cioè da fattore attrattivo, per i trafficant­i che sanno di dover spingere i barconi solo a poche miglia dalla costa libica, si crea ora il contesto perfetto per passare alla fase 2: rafforzare il governo di Fayez Al-Sarraj in modo che la Libia possa svolgere lo stesso ruolo della Turchia. Diventare, cioè, da Paese di transito verso l’Europa un argine al flusso migratorio, la Turchia ha chiuso la rotta balcanica, la

Libia può chiudere quella mediterran­ea.

Il passo più clamoroso per l’Italia è l’invio dell’ambasciato­re Cantini al Cairo. È il segnale della distension­e con il governo del dittatore Al-Sisi che, dall’Egitto, è il principale sponsor del generale Kalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Il militare, appoggiato all’inizio dagli Stati Uniti, oggi è sostenuto dall’Egitto (che lo vede come garante di una zona cuscinetto e argine a ogni deriva islamista), dalla Russia e dagli emirati del Golfo. Controlla gran parte delle risorse petrolifer­e della Libia da metà 2016 e ritiene di dover essere un interlocut­ore almeno altrettant­o legittimo che Sarraj, è arrivato a chiedere 20 miliardi all’Unione europea e a mandare sibillini messaggi sui vertici dei servizi segreti italiani che gli avrebbero chiesto scusa per non aver concordato con lui la missione italiana di supporto alla Guardia costiera libica.

Per il governo italiano la partita ora si complica, perché stabilizza­re la Libia è una missione quasi impossibil­e e perché il ministro dell’Interno Marco Minniti non può più gestire tutto da solo, come nella fase 1 (sbarchi e Ong). Paolo Gentiloni, all’epoca ancora alla Farnesina, è stato il primo ministro degli Esteri a far visita al neo-premier Sarraj nell’aprile 2016. Una mossa allora molto applaudita che però ora rischia di schiacciar­e Gentiloni su una sola delle fazioni in campo. Il Consiglio presidenzi­ale guidato da Sarraj e voluto dall’Onu “ha un riconoscim­ento internazio­nale ma dal punto di vista interno non è conforme alla costituzio­ne”, come riassume su Limes l’esperto di Libia Leonardo Bellodi. E questo ha ricadute economiche, non solo militari: il governo Sarraj si contende il diritto di nominare i vertici del fondo di investimen­to sovrano Lia (70 miliardi di dollari, partecipaz­ioni dalla Bayer a Unicredit a Vivendi ed Eni) con il rappresent­ante di alcune milizie e con quello nominato dal governo di Tobruk, in Cirenaica. La questione è finita davanti alla Alta Corte di Londra, perché “la Corte suprema di Tripoli aveva stabilito che nessuno dei tre pretendent­i poteva considerar­si legittimo rappresent­ante dal momento che nessuno era stato nominato da un’entità politica conforme alla Costituzio­ne libica”, scrive Bellodi.

L’altro potere forte Prima mossa, riaprire il dialogo con Al-Sisi, grande sponsor del generale ribelle RAPPORTO FRONTEX

A luglio partenze in calo per le cattive condizioni del mare, gli scontri a Sabrata e la attività della Guardia Costiera libica

MENTRE GENTILONI cerca da un lato di consolidar­e il governo Sarraj, dall’altro di tenere i rapporti con Haftar, Minniti prosegue nel suo tentativo di controllar­e il confine Sud per limitare l’ingresso di persone portate dai trafficant­i. Ha ispirato un accordo tra le tribù Tebu e Suleiman, che per ora regge, ma servono risorse per ridurre gli incentivi a buttarsi sul redditizio traffico di esseri umani per le popolazion­i delle zone di transito. Visti i consensi di cui gode Minniti e che la Libia ora sembra portare voti, si è svegliato anche il ministro degli Esteri Angelino Alfano che sta cercando di proporsi come l’unico interlocut­ore del nuovo inviato Onu in Libia, il libanese Ghassan Salamé per arginare l’attivismo della Francia di Emmanuel Macron ( mentre Minniti rivendica una leadership italiana nelle trattative). Poi c’è il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che, in aperta polemica con Minniti, ha ricordato che la Guardia costiera dipende dal suo ministero e che quindi ha tutto il diritto di partecipar­e alle decisioni sulla politica verso la Libia e i migranti. Resta defilata Roberta Pinotti, ministro della Difesa, ma anche lei vorrà prima o poi intervenir­e su come si risolvono i problemi in Libia. E potremmo scoprire presto che mettere d’accordo i membri del governo italiano non è molto più semplice che far dialogare Sarraj e Haftar.

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Ansa 12 aprile 2016 Il primo incontro Gentiloni-Sarraj
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