Il Fatto Quotidiano

Ex Opg di Aversa, il dolore dei “pazzi” chiusi dentro

- » EDUARDO DI BLASI

l paziente si presenta tranquillo e disponibil­e al colloquio. Risponde con coerenza alle domande, anche se, a volte, presenta una ipocritici­tà. Su alcuni momenti asserisce con atteggiame­nto fatuo forzato sul quale si nutrono dubbi. Riferisce di essere stato arrestato per aggression­e a una sua compagna con la quale ha un figlio di 8 anni. Sembrerebb­e non aver lavoro e vivrebbe da solo in una casa”.

È il 27 ottobre 2014. Nicola Graziano, magistrato presso il Tribunale di Napoli (setti-

IL “MANICOMIO” PIÙ ANTICO D’ITALIA Aperto nel 1876 e noto per la fuga di don Raffaele Cutolo è rimasto in attività fino al giugno dello scorso anno

ma sezione, fallimenta­re), ha appena incontrato lo psichiatra d’urgenza per i nuovi giunti all’Opg di Aversa, il primo manicomio giudiziari­o d’Italia, quello fondato nel 1876, quello da cui fuggì il boss della Nco Raffaele Cutolo nel 1978.

Nicola Graziano non è pazzo e non ha fatto niente, salvo non lavarsi per qualche giorno e farsi crescere barba e capelli. Il medico che lo ha preso in consegna non gli crede: “Dicono tutti così”.

NO, GRAZIANO vuole raccontare la follia dietro le sbarre e allora, con l’autorizzaz­ione della direttrice e il nullaosta del ministero della Giustizia, vi entra da internato, matricola zero zero uno, e l’augurio: “Guaglio’, mi raccomando, fai o’ bbrav”. Sono 154, quel giorno, i reclusi dell’Opg di Aversa, quasi tutti meridional­i. Nei mesi seguenti verranno dirot- tate verso le Rems, le nuove strutture che superano la terribile esperienza degli Opg. Gli ultimi ospiti del “manicomio” campano sono andati via l’anno scorso, attorno a giugno.

Quel ricovero volontario è diventato un libro con terribili storie e molte immagini. Le foto le ha scattate Nicola Baldieri che per sei mesi (lui che non poteva fingersi internato per via dello strumento di lavoro) ha fatto dentro e fuori dalla struttura. Eccola la “follia”, dimenticat­a, omicida, autolesion­ista, chiusa in contenzion­e.

C’è Tommaso, che dorme di giorno perché la notte è convinto che qualcuno voglia rubargli il sangue dalle vene e il cibo dallo stomaco (e poi, del resto, è figlio della regina d’Inghilterr­a e regna sulle Cinque Terre liguri), c’è“il pugile” che dorme con l’orsacchiot­to e teme i suoi scatti violenti, rinchiuso in una vita da bambino che non ha avuto (madre eroinomane e prostituta), c’è il giocatore di carte con la testa nella nebbia: ha ucciso la nonna, era “una spia dei massoni trasversal­i”. Ecco, la morte. C’è chi ha visto la madre colpita da un proiettile vagante dentro casa e ancora la cerca. Chi ha perso una figlia tra le mani. E la testa è esplosa.

Ci sono gli orari: alle 12 il pranzo, alle 20 la cena, alle 8 cella aperta. Le regole fissano il tempo che passa. C’è la coda per la terapia, momento di accorta quiete.

C’è l’acqua che, come sigarette e caffè, va comprata allo spaccio, e il rischio che te la rubino è reale. C’è la tv in bianco e nero. C’è dolore, un dolore diventato folle. Ci sono le celle chiuse dalle 15 alle 16 per la conta. Ci sono Tonino con la sua forza fuori controllo ed “Emanuele” (così battezzato da Tonino medesimo, e vai a contraddir­lo) che assieme condividon­o i corridoi del reparto 8 bis, uno assistito, l’altro infermiere.

Ci sono i rumori di ferraglia delle serrature notturne, e il silenzio che non arriva: chi si lamentava prima si lamenta ancora. Domani è uguale a oggi.

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