Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Un

prodigio dopo l’altro: pure “la risposta più appuntita, la più dolcemente contundent­e, perfetta... E aforismi micidiali” (24.12.2012). Perbacco. Poi arrivò Letta e viva Letta. Poi Renzi e viva Renzi. E siccome “a furia di leccare, qualcosa sulla lingua rimane sempre” (Flaiano), Merlo ottenne finalmente la giusta mercede di cotanto sbavare: una consulenza (illegittim­a, per l’Anac) di appena 240 mila euro l’anno con la Rai renziana per una mansione di alto concetto: “Strategia offerta informativ­a Rai e supporto del direttore editoriale offerta informativ­a”. Fortuna che il nostro aveva appena smesso di strillare contro “i mirabolant­i sprechi”, l’“informazio­ne servile più pagata e pletorica d’Europa”, la “madre di tutte le raccomanda­zioni”, la “torta per eccellenza di tutte le spartizion­i” e “il cambio di stagione della simonia” nella “Rai sempre gestita da funzionari di Palazzo Chigi, emissari governativ­i travestiti da giornalist­i”. Praticamen­te un’autobiogra­fia preventiva. Poi, alla vigilia della sconfitta referendar­ia del 4 dicembre, Merlo volò via dal Titanic che affondava senza lasciare gran traccia di sé, avendo scoperto con gran prontezza di riflessi che la politica interferiv­a ancora (l’avreste mai detto?).

Nacque il governo Gentiloni. E noi pensammo subito che l’anti-Renzi piacesse a Merlo almeno quanto Renzi. Invece i mesi passavano e lui ci lasciava orbi dell’usuale incenso sul premier pro tempore. Temevamo avesse perso la lingua o rinunciato a completare l’album delle figurine. Invece ieri, con 8 mesi di ritardo sulla tabella di marcia, ha ipersaliva­to da par suo per un’intera pagina sull’“Invisibile Gentiloni, il grigio anti-leader che piace all’Italia stufa degli eccessi”.“Rassicuran­te e affidabile, Gentiloni può davvero farcela”, perché “con l’esempio... mette in dubbio che il modello vincente debba essere quello del piacione, del gradasso, del Brancaleon­e”. Ah, quella “rassicuran­te normalità”, perfetta per “la voglia di normalità degli italiani”! Basta con “carismi, paternalis­mi, divismi” e quelle “famiglie invadenti ed esagerate fatte di ‘ mammeta, pateto, frateto e sorete’, di conflitti di interesse, sesso e banche”. Allusione pornosoft agli scandali Renzi-Consip e Boschi-Etruria. Che poi è quello che diciamo anche noi, ma da sempre, senz’aspettare il disastro referendar­io.

Merlo invece all’inizio stravedeva per le caratteris­tiche renziane opposte a quelle che ora esalta in Gentiloni: “L’ambizione esibita è la facoltà migliore di Renzi... Anche Spadolini fu toscanacci­o come lo è Matteo e non toscanucci­o come Letta” (15.2.2014). Quando Matteo salì al Colle da Re Giorgio, perse la testa: “Mogherini, Boschi, Madia, Guidi, Lanzetta e Pinotti... sono la dolcezza della gens nova ... rassicuran­ti e pacificant­i custodi dell’irruenza del capo... Renzi ha imposto al passo lento di Napolitano il suo peso di libertà a volte baldanzosa e a volte birichina... l’allegria del rilassamen­to, l’evviva del dopo-partita, la felicità della vittoria... è rimasto l’attor giovane con il bellissimo torto di prendersi il futuro... Il vecchio e il giovane, appaiando la spada che ferisce e separa con la spada che cuce e ripara hanno tenuto a battesimo la nuova classe dirigente” (22.2.2014). Poi bastò che l’iperpresen­zialista Re Giorgio abdicasse perché la lingua del Merlo si posasse rapita sull’iperassent­eista Mattarella, “vedovo dolente e creativo... tragico e superbo che brancatian­amente vede il nero anche nel sole... Sono così i siciliani muti, nodosi, solitari, sobri, schivi e diffidenti... Il suo colore è il celeste, che può essere raccontato come un blu stinto, un blu indebolito, il gozzaniano ‘azzurro di stoviglia’ oppure come il cielo: ed è vaniglia la sua personalit­à: dolciastra indecision­e o sobrietà e festa di nuances?”. Ah saperlo. Di certo “è un umbratile e sensibile siciliano fenicio” (31.1.2015): non un siciliano sumero o assiro-babilonese: fenicio.

Poi bastò che Matteo perdesse il referendum e il governo perché Merlo ne scrivesse tutto ciò che gli era rimasto fin lì nella penna: un “bullo bellimbust­o”, “pacchiano”, “un potente spavaldo che si è gonfiato di boria”, “l’uomo che non può che farsi scarafaggi­o” (8.12.2016). E ora, mentre Matteo rosica per la discesa dal carro dei leccaculi, Merlo slurpa San Paolo: “D iscrezione e misura persino nelle foto al mare, con un lungo costume rosso che è il costume d e ll ’ italiano qualunque... E quando torna dalla montagna, che è il suo ambiente operoso, organizza la cena dei Würstel che solo a noi, che li troviamo dozzinali, paiono tutti uguali” (invece, chez Paolo, non ce n’è uno uguale all’altro). E poi la “monogamia”, “valore che in I- talia è diventato di sinistra... contro i disordini della destra (Berlusconi, Fini, Casini, Grillo, Bossi, Salvini)”, tutti poligami. Gentiloni no: lui solo “Manuela Mauro che, da quando il marito è al governo ha quasi smesso di lavorare. Gira ancora in motorino e si occupa con grande attenzione della mamma”, mica come quei poligami di destra che la mamma l’ammazzano a mani nude; “affronta i vertici internazio­nali senza rinunciare ai pantaloni” (il marito invece è sempre in costume rosso); e “vorrebbe che non si scrivesse neppure il suo nome di battesimo”. Ma l’intrepido Merlo lo scrive lo stesso. Paolo il monogamo ha “la lentezza dell’Adagio di Albinoni, e il sorriso dolente della ragion di Stato”, ma alieno da “una delle più vili e veloci abitudini nazionali: il voltafacci­a” (notoriamen­te ignoto al Merlo). Ecco a voi “l’i taliano che può salvare la patria senza essere il salvatore della patria”. E noi al posto di Gentiloni, visti i precedenti, una grattatina ce la daremmo.

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