Il Fatto Quotidiano

I disoccupat­i “veri” in Italia sono il 30%: più che in Grecia

I costi sociali della “svalutazio­ne interna” raccontate usando i dati reali

- » ALBERTO BAGNAI

Fra due anni, Mario Draghi terminerà il suo mandato alla Bce, lasciando in legato al suo successore un bel patrimonio di frasi celebri. Tutti ricordano l’icastico whatever it takes, e per un’ottima ragione: affermando il 26 luglio 2012 la volontà della Bce di intervenir­e sui mercati a qualunque costo, Draghi invertì la tendenza dello spread, che stava crescendo nonostante l’Italia fosse stata “salvata” da Monti per decreto nel dicembre 2011.

Bastò la parola. Poi, col tempo, non bastò più. Il 22 gennaio 2015, Draghi annunciò che sarebbe partito il quantitati­ve easing ( Q E) , l’incubo degli economisti rigorosi: 60 miliardi di euro sarebbero stati messi in circolo ogni mese in cambio di titoli detenuti dalle banche. Il decollo dell’inflazione, che Draghi auspicava e i rigorosi temevano, non ci fu (lo avevamo anticipato su queste colonne il 31 dicembre 2014), tant’è che il QE pare sia destinato a continuare.

AL POSTO dell’inflazione, abbiamo avuto un’altra frase celebre: “Ci sono forze che congiurano a tener bassa l’infl azio ne” ( Francofort­e, 4 febbraio 2016). Spiazzati dall’elegante scelta lessicale, i beceri social media cianciaron­o di un Draghi complottis­ta. Fu un peccato, perché così si perse il senso epocale di quella affermazio­ne: Draghi confessava che la moneta non causa i prezzi. Restava da capire cosa li causasse. In fondo, le cose stavano andando meglio, ci veniva detto: l’economia riparte, la disoccupaz­ione scende. Hai visto la Spagna? Hai visto l’Irlanda? Ma allora perché, nonostante tutti questi miracoli, i prezzi languono?

Finalmente, nel maggio scorso, è arrivato l’ennesimo “contrordin­e compagni!”: nel Bollettino n. 3 dell’11 mag-

Numeri parlanti Grafici come questi sono prassi negli Usa e spiegano molte cose (tipo il crollo dei dem)

gio 2017, la Bce ci informa che la disoccupaz­ione nell’Eurozona non è bassa, tutt’altro! I dati ufficiali la sottostima­no: tenendo conto non solo dei disoccupat­i ( persone che cercano lavoro), ma anche degli scoraggiat­i ( persone che non cercano più lavoro ma vorrebbero lavorare) e dei sottoccupa­ti ( persone che vorrebbero un lavoro a tempo pieno ma hanno ottenuto solo un part time), la disoccupaz­ione media dell’Eu- rozona passerebbe dal 9.5% al 18%. E che c’entra questa storia con l’inflazione? Il fatto è che: “Le risorse inutilizza­te gravano sulla dinamica dei prezzi e dei salari”. Tradotto: i prezzi non dipendono da quanta moneta si stampa (come dicono i neoliberis­ti), ma dalla disoccupaz­ione (come dicono i keynesiani). Se fuori della porta c’è un esercito di persone disposte a lavorare a meno, sarà difficile spuntare un salario dignitoso. Con salari bassi l’imprendito­re prima è contento, perché abbassa i prezzi e paga poco il lavoratore, e poi chiude, perché smette di fatturare: se i lavoratori non hanno soldi in tasca, chi compra i beni prodotti ( nonostante i prezzi bassi)?

Si chiama “crisi di domanda interna”, e non si risolve quando lo Stato “s ta mp a” moneta (l’ha detto Draghi), ma quando la spende per investimen­ti (per esempio ricostruen­do nelle zone terremotat­e). Quest’ultima cosa non si può fare, perché l’Europa si oppone: c’è il pareggio di bilancio e poi aiutare gli imprendito­ri terremotat­i è violare la concorrenz­a!

Intanto, Draghi stampa... Vi chiederete: quella che la disoccupaz­ione ufficiale è sottostima­ta è una novità? Assolutame­nte no. Negli Stati Uniti, per esempio, vengono pubblicate da tempo 6 mi- sure del tasso di disoccupaz­ione, l’ultima delle quali, U6, tiene conto di scoraggiat­i e sottoccupa­ti. I dati che vedete sono stati ottenuti con calcoli analoghi. Per una volta abbiamo la triste soddisfazi­one di arrivare primi: nel 2016 il nostro U6 è, se pure di poco, superiore perfino a quello della Grecia, e questo per la fortissima incidenza di scoraggiat­i. Si spiega così l’avanzata del cosiddetto populismo, e la batosta del Pd alle ultime elezioni.

SE INVECE osserviamo nel tempo la situazione dei quattro grandi dell’Eurozona, vediamo che dalla crisi in poi la Germania sta sempre meglio, e la Francia sempre peggio: questo ci spiega il rapido calo di popolarità del neoeletto Macron, che parla di rigore a un Paese in crescente affanno. La disoccupaz­ione U6 aiuta a capire tante cose: ma allora perché noi, nella nostra ansia di emulare gli Usa unendo l’Europa, non partiamo da questa cosa piccola ma essenziale: dotarci di una misura attendibil­e della tensione sul mercato del lavoro?

La risposta è semplice: perché da quando ha abbandonat­o la flessibili­tà del cambio la nostra economia, a dif- ferenza di quella americana, si basa sulla disoccupaz­ione competitiv­a. Quando arriva una crisi, vince il paese che taglia i salari prima e più del vicino, cioè che alza prima la disoccupaz­ione: si chiama “svalutazio­ne interna”.

NATURALMEN­TE, a ff in c h é questo gioco sia politicame­nte sostenibil­e, occorre che sia subdolo: l’esercito industrial­e di riserva deve mimetizzar­si nelle statistich­e. Ed è questo il motivo per il quale la maggior parte di voi fino a oggi conosceva solo gli U2 (il gruppo), ma non gli U6 (i disoccupat­i). Qualche conte Attilio avrà invitato a troncare, sopire... Peccato: per una volta che eravamo in testa a una graduatori­a!

Lo dice San Draghi

A maggio la Bce legò questi numeri e l’inflazione zero: bassi salari, prezzi fermi

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy