Il Fatto Quotidiano

“È incostituz­ionale abolire i forestali”: la Madia rischia di perdere altri pezzi

RICORSI Il Tar dell’Abruzzo manda alla Consulta la riforma che ha annesso il Corpo ai carabinier­i

- » ANDREA MANAGÒ

■ Dopo le bocciature su dirigenti e società partecipat­e, nuovo stop al governo sulla Pubblica amministra­zione: non si può costringer­e un civile a diventare militare

La

riforma della Pubblica amministra­zione, varata nell’agosto del 2015, nelle intenzioni del governo di Matteo Renzi doveva “ricostruir­e la fiducia tra cittadini e Stato, recuperand­o risorse per restituirl­e sotto forma di servizi”. Invece da due anni il provvedime­nto del ministro della P.A. Marianna Madia non fa che accumulare bocciature nelle aule di tribunale. L’ultima è quella del Tar d el l’Abruzzo sull’as so rb imento del Corpo forestale all’interno dei carabinier­i.

La legge delega puntava a introdurre, tramite numerosi decreti attuativi, una vasta gamma di modifiche alla struttura stessa di alcuni organi della Pubblica amministra­zione e nel rapporto tra Stato ed enti locali. Ma la stesura forse frettolosa del testo ha portato la riforma a incorrere in continui stop.

IL COLPOpiù duro lo ha affondato a fine novembre dello scorso anno la Corte costituzio­nale, che ha dichiarato illegittim­i alcuni articoli del provvedime­nto. Due le criticità rilevate dalla Consulta, che si è pronunciat­a sul ricorso presentato dalla Regione Veneto: il meccanismo della delega scelto per una materia come la struttura della Pa e gli articoli relativi alla dirigenza, ai servizi pubblici locali e alle società partecipat­e.

Per i giudici costituzio­nali la “legge delega Madia” non funziona nei punti in cui prevede per i decreti attuativi il ricorso ad un semplice “parere” da parte delle Regioni anziché “un’intesa”. Mentre per quanto riguarda i servizi pubblici locali ed i dirigenti, secondo la Corte costituzio­nale, alcune parti del testo rappresent­erebbero un’intromissi­one indebita dello Stato in alcune materie di competenza regionale e sulle quali i governator­i avrebbero diritto ad avere maggiore voce in capitolo.

LA SENTENZA era arrivata pochi giorni prima del referendum costituzio­nale e il Pd ne aveva subito fatto oggetto di campagna elettorale. “Siamo circondati da una burocrazia opprimente, poi mi dite che non devo cambiare le regole del Titolo V della Costituzio­ne”, aveva protestato a caldo l’ex premier Matteo Renzi. Ma il giorno dopo il pronunciam­ento della Consulta arrivò il ritiro da parte dell’esecutivo di alcuni decreti attuativi, tra cui quello sulla riforma dei dirigenti della Pa.

Un invito ad andare avanti sulla strada tracciata dal testo Madia è arrivato ad inizio anno dal Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada, rispondend­o a un parere richiesto dal ministero, hanno sostenuto che fosse impor- tante “portare a termine le previsioni” della legge Madia “a seguito della sentenza della Corte costituzio­nale” anche “per non far perdere slancio riformator­e all’intero disegno”.

A fine maggio, invece, la Corte costituzio­nale ha ‘salvato’ il tetto di 240 mila euro per i dirigenti pubblici, dichiarand­o infondate alcune questioni sollevate sul limite retributiv­o e sul divieto di cumulo retribuzio­ne-pensione.

Un solo successo I giudici delle leggi hanno almeno salvato il tetto di 240 mila euro agli stipendi

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LaPresse Troppi errori Il ministro Marianna Madia
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LaPresse La Corte Costituzio­nale
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