“È incostituzionale abolire i forestali”: la Madia rischia di perdere altri pezzi
RICORSI Il Tar dell’Abruzzo manda alla Consulta la riforma che ha annesso il Corpo ai carabinieri
■ Dopo le bocciature su dirigenti e società partecipate, nuovo stop al governo sulla Pubblica amministrazione: non si può costringere un civile a diventare militare
La
riforma della Pubblica amministrazione, varata nell’agosto del 2015, nelle intenzioni del governo di Matteo Renzi doveva “ricostruire la fiducia tra cittadini e Stato, recuperando risorse per restituirle sotto forma di servizi”. Invece da due anni il provvedimento del ministro della P.A. Marianna Madia non fa che accumulare bocciature nelle aule di tribunale. L’ultima è quella del Tar d el l’Abruzzo sull’as so rb imento del Corpo forestale all’interno dei carabinieri.
La legge delega puntava a introdurre, tramite numerosi decreti attuativi, una vasta gamma di modifiche alla struttura stessa di alcuni organi della Pubblica amministrazione e nel rapporto tra Stato ed enti locali. Ma la stesura forse frettolosa del testo ha portato la riforma a incorrere in continui stop.
IL COLPOpiù duro lo ha affondato a fine novembre dello scorso anno la Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimi alcuni articoli del provvedimento. Due le criticità rilevate dalla Consulta, che si è pronunciata sul ricorso presentato dalla Regione Veneto: il meccanismo della delega scelto per una materia come la struttura della Pa e gli articoli relativi alla dirigenza, ai servizi pubblici locali e alle società partecipate.
Per i giudici costituzionali la “legge delega Madia” non funziona nei punti in cui prevede per i decreti attuativi il ricorso ad un semplice “parere” da parte delle Regioni anziché “un’intesa”. Mentre per quanto riguarda i servizi pubblici locali ed i dirigenti, secondo la Corte costituzionale, alcune parti del testo rappresenterebbero un’intromissione indebita dello Stato in alcune materie di competenza regionale e sulle quali i governatori avrebbero diritto ad avere maggiore voce in capitolo.
LA SENTENZA era arrivata pochi giorni prima del referendum costituzionale e il Pd ne aveva subito fatto oggetto di campagna elettorale. “Siamo circondati da una burocrazia opprimente, poi mi dite che non devo cambiare le regole del Titolo V della Costituzione”, aveva protestato a caldo l’ex premier Matteo Renzi. Ma il giorno dopo il pronunciamento della Consulta arrivò il ritiro da parte dell’esecutivo di alcuni decreti attuativi, tra cui quello sulla riforma dei dirigenti della Pa.
Un invito ad andare avanti sulla strada tracciata dal testo Madia è arrivato ad inizio anno dal Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada, rispondendo a un parere richiesto dal ministero, hanno sostenuto che fosse impor- tante “portare a termine le previsioni” della legge Madia “a seguito della sentenza della Corte costituzionale” anche “per non far perdere slancio riformatore all’intero disegno”.
A fine maggio, invece, la Corte costituzionale ha ‘salvato’ il tetto di 240 mila euro per i dirigenti pubblici, dichiarando infondate alcune questioni sollevate sul limite retributivo e sul divieto di cumulo retribuzione-pensione.
Un solo successo I giudici delle leggi hanno almeno salvato il tetto di 240 mila euro agli stipendi