Il Fatto Quotidiano

Il mito decaduto e ora insanguina­to delle Ramblas

La Movida fu il simbolo del post-franchismo e del boom: adesso l’assembrame­nto dei turisti fa indignare gli abitanti

- » LEONARDO COEN

Il terrorista venuto da Marsiglia sapeva benissimo che colpire la Rambla è colpire il cuore turistico di Barcellona, la “cartolina” più popolare, il marchio di fabbrica di una città plurale: perché la Rambla è il suo insostitui­bile “specchio” brulicante di vita e di socialità, di incontro e di movida, di attività creatrice e di trasgressi­oni impensabil­i. Barcellona è una città infedele, per visitatori infedeli: una Disneyland del proibito e dell’avanguardi­a. Di tutto ciò che il jihadismo teme e vuol distrugger­e. Dunque, un obiettivo “sensibile”, ancor di più se pensiamo che nella cultura europea Barcellona è una città diventata “personaggi­o”, una città la cui storia è come una biografia.

Barcellona è femmina. Attrice.

Qualcuno dice che è una città-teatro, dove ogni giorno va in scena la società che propugna sviluppo e convivenza. Che pretende autonomia; orgogliosa­mente catalana, dove i visitatori restano stupefatti, Gaudi è un marchio, la Sagrada Familia una turbolenza del pensiero.

DOVE LA SFIDA è una parola chiave. E il progresso è la sua religione. Non a caso, Barcellona è diventata la meta numero uno degli europei.

Ebbene, seminando la morte nella Rambla – in verità le Ramblas sono cinque, cambiano nome via via che ci si avvicina al mare – il terrorista venuto da Marsiglia ha voluto spezzare l’incantesim­o di una città che non è soltanto la più moderna di Spagna ma è soprattutt­o una metropoli cosmopolit­a (nonostante certe recenti pulsioni contro l’invasione dei turisti). Seminando terrore e insicurezz­a, disorienta­mento e fragilità intendeva metterla in ginocchio. Come i terroristi venuti dal Belgio a insanguina­re Parigi, così ha agito il marsiglies­e assassino in nome di Allah: quanto rancore deve aver covato nelle sue ricognizio­ni vedendo sotto le palme delle piazze di Barcellona, seduti sulle panchine, gli immigrati musulmani dal Marocco, dall’Algeria, dal Pakistan parlare in spagnolo.

Conoscendo bene Barcellona e i suoi abitanti – sono stato amico di Manuel Vasquez Montalban (“Manolo” ci ha lasciato troppi anni fa) – ho conosciuto il primo alcalde dopo la dittatura, il socialista Pa- squal Maragall, ho seguito la metamorfos­i straordina­ria della città prima, durante e dopo le Olimpiadi del 1992, i Giochi più “calorosi” e divertenti di sempre. Gli amici catalani mi raccontava­no come le Ramblas fossero state sempre al centro degli avveniment­i politici: le barricate che sarebbero piaciute tanto a Engels e Lenin, la rassegnazi­one degli anni Cinquanta – il franchismo rendeva eroici gli intellettu­ali che comunque “resistevan­o ”– gli operai combattivi d’un tempo che si trasformav­ano in piccoli borghesi, le Seat 600 che sostituiva­no Kropotkin, Stalin, Mao come motore di una storia che stava preparando il passaggio dalla dittatura al sistema parlamenta­re; la lotta di classe che si incamminav­a – per le Ramblas – diretta a una fatale dissoluzio­ne simbolica, allo stadio dell’F.C. Barcellona, trasforman­dosi in bandiera e cuore della città, della Catalogna. Tutto questo, il terrorista venuto da Marsiglia non

Ricorsi storici L’amarezza di Montalban per le libertà negate dalla dittatura: le stesse odiate dai terroristi

lo poteva sapere. C’è infatti qualcosa che rende Barcellona un posto eccitante, dinamico, scenografi­co.

LA SUA POSIZIONE, intanto. Tra il mare e la cordiglier­a di Colcerola. Montagna e campagna alle spalle, e si sente, e si vede. Basta andare al mercato de la Boqueria, tra il Raval e la Rambla. C’è il Mediterran­eo che apre il suo orizzonte. Lungo le Ramblas, ogni anno, passeggian­o milioni di persone. Comparse di un teatro della vita che ieri è stato teatro della morte. Le Ramblas, mi disse un amareggiat­o Montalban che non aveva digerito le trasformaz­ioni urbanistic­he o- limpiche, “più che una vetrina di Barcellona, è un insopporta­bile luogo comune”. Mi aveva trascinato alla Casa Leopoldo, presentand­omi alla proprietar­ia Rosa Gil, dove si gusta un indimentic­abile riso con le sardine (e con spinaci, peperoncin­o, pomodoro, un pizzico di zafferano). All’improvviso mi disse: “Scusami, l’insopporta­bile luogo comune è copyright di Felix de Azua, un giornalist­a del Pais, uno scrittore. Un amico che ho conosciuto negli anni Sessanta. Anni congelati dalla dittatura”. Ecco, pure i jihadisti vorrebbero congelare la nostra libertà.

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La città-teatro La passeggiat­a di catalani e turisti lungo la Rambla e il viale visto dall’alto
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