Il mito decaduto e ora insanguinato delle Ramblas
La Movida fu il simbolo del post-franchismo e del boom: adesso l’assembramento dei turisti fa indignare gli abitanti
Il terrorista venuto da Marsiglia sapeva benissimo che colpire la Rambla è colpire il cuore turistico di Barcellona, la “cartolina” più popolare, il marchio di fabbrica di una città plurale: perché la Rambla è il suo insostituibile “specchio” brulicante di vita e di socialità, di incontro e di movida, di attività creatrice e di trasgressioni impensabili. Barcellona è una città infedele, per visitatori infedeli: una Disneyland del proibito e dell’avanguardia. Di tutto ciò che il jihadismo teme e vuol distruggere. Dunque, un obiettivo “sensibile”, ancor di più se pensiamo che nella cultura europea Barcellona è una città diventata “personaggio”, una città la cui storia è come una biografia.
Barcellona è femmina. Attrice.
Qualcuno dice che è una città-teatro, dove ogni giorno va in scena la società che propugna sviluppo e convivenza. Che pretende autonomia; orgogliosamente catalana, dove i visitatori restano stupefatti, Gaudi è un marchio, la Sagrada Familia una turbolenza del pensiero.
DOVE LA SFIDA è una parola chiave. E il progresso è la sua religione. Non a caso, Barcellona è diventata la meta numero uno degli europei.
Ebbene, seminando la morte nella Rambla – in verità le Ramblas sono cinque, cambiano nome via via che ci si avvicina al mare – il terrorista venuto da Marsiglia ha voluto spezzare l’incantesimo di una città che non è soltanto la più moderna di Spagna ma è soprattutto una metropoli cosmopolita (nonostante certe recenti pulsioni contro l’invasione dei turisti). Seminando terrore e insicurezza, disorientamento e fragilità intendeva metterla in ginocchio. Come i terroristi venuti dal Belgio a insanguinare Parigi, così ha agito il marsigliese assassino in nome di Allah: quanto rancore deve aver covato nelle sue ricognizioni vedendo sotto le palme delle piazze di Barcellona, seduti sulle panchine, gli immigrati musulmani dal Marocco, dall’Algeria, dal Pakistan parlare in spagnolo.
Conoscendo bene Barcellona e i suoi abitanti – sono stato amico di Manuel Vasquez Montalban (“Manolo” ci ha lasciato troppi anni fa) – ho conosciuto il primo alcalde dopo la dittatura, il socialista Pa- squal Maragall, ho seguito la metamorfosi straordinaria della città prima, durante e dopo le Olimpiadi del 1992, i Giochi più “calorosi” e divertenti di sempre. Gli amici catalani mi raccontavano come le Ramblas fossero state sempre al centro degli avvenimenti politici: le barricate che sarebbero piaciute tanto a Engels e Lenin, la rassegnazione degli anni Cinquanta – il franchismo rendeva eroici gli intellettuali che comunque “resistevano ”– gli operai combattivi d’un tempo che si trasformavano in piccoli borghesi, le Seat 600 che sostituivano Kropotkin, Stalin, Mao come motore di una storia che stava preparando il passaggio dalla dittatura al sistema parlamentare; la lotta di classe che si incamminava – per le Ramblas – diretta a una fatale dissoluzione simbolica, allo stadio dell’F.C. Barcellona, trasformandosi in bandiera e cuore della città, della Catalogna. Tutto questo, il terrorista venuto da Marsiglia non
Ricorsi storici L’amarezza di Montalban per le libertà negate dalla dittatura: le stesse odiate dai terroristi
lo poteva sapere. C’è infatti qualcosa che rende Barcellona un posto eccitante, dinamico, scenografico.
LA SUA POSIZIONE, intanto. Tra il mare e la cordigliera di Colcerola. Montagna e campagna alle spalle, e si sente, e si vede. Basta andare al mercato de la Boqueria, tra il Raval e la Rambla. C’è il Mediterraneo che apre il suo orizzonte. Lungo le Ramblas, ogni anno, passeggiano milioni di persone. Comparse di un teatro della vita che ieri è stato teatro della morte. Le Ramblas, mi disse un amareggiato Montalban che non aveva digerito le trasformazioni urbanistiche o- limpiche, “più che una vetrina di Barcellona, è un insopportabile luogo comune”. Mi aveva trascinato alla Casa Leopoldo, presentandomi alla proprietaria Rosa Gil, dove si gusta un indimenticabile riso con le sardine (e con spinaci, peperoncino, pomodoro, un pizzico di zafferano). All’improvviso mi disse: “Scusami, l’insopportabile luogo comune è copyright di Felix de Azua, un giornalista del Pais, uno scrittore. Un amico che ho conosciuto negli anni Sessanta. Anni congelati dalla dittatura”. Ecco, pure i jihadisti vorrebbero congelare la nostra libertà.