Il Fatto Quotidiano

Come ti azzoppo la Grande Firma

- » ANTONIO PADELLARO

Per la partitella di Ferragosto non fu difficile trovarne dieci. Più complicato farli arrivare tutti in orario.

Alcuni avevano promesso alle rispettive spose e fidanzate che in cambio del pomeriggio libero sarebbero passati alla Coop per rifornirsi dell’oc cor ren te per la successiva cena sotto la luna.

Altri vennero ac com pa gna ti dalle rispettive spose e fidanzate, e ciò come vedremo, non fu la scelta più saggia.

Alle 18, orario della prenotazio­ne, una cappa di calore umidiccio avvolgeva il campetto in località Pozzarello, e sul tappeto sintetico sbiadito e strappato ai bordi, i più puntuali corri cchiavano e stiracchia­vano le gambe con approssima­tivi esercizi di stretching.

Dal mare, laggiù, un’i mpe rcettibile brezza pomeridian­a impattava sull’in combente condominio giallognol­o e il pleonastic­o riscaldame­nto inzuppava anzitempo le magliette. Intanto P. si esercitava con qualche tiraccio destinato al nulla. Come calciatore sapeva di essere abbastanza scarso, a parte una certa vigoria fisica che nelle fasi più concitate del gioco poteva esprimersi in becera scarponagg­ine. Non sarebbe stato convocato se all’ultimo momento la Grande Firma non avesse dato forfait adducendo come scusa plausibile l’elaborazio­ne di un decisivo editoriale che all’indomani avrebbe fatto bella mostra di sé sulla prima pagina del Grande Giornale.

DIECI MINUTI dopo le 18, con le squadre al completo, i due autoprocla­matisi capitani provvidero alla distribuzi­one dei giocatori. Alternata: come da regolament­o. P. fu scelto come penultimo soltanto perché l’ultimo avrebbe dovuto spesso assentarsi dal gioco per tenere d’occhio il terzogenit­o posteggiat­o sul passeggino all’ombra: incombenza che aveva costituito, dopo accese discussion­i, il lasciapass­are concesso dalla nevrile compagna.

Già si era visto qualche rapido capovolgim­ento di fronte quando nel vicino parcheggio, da un ’ Alfa cabriolet blu elettrico, discese la Grande Firma. Completo di maglia zebrata della Juventus, calzoncini neri, parastinch­i in tinta e signora bionda con fox terrier. La stesura dell’editoriale, spiegò, aveva richiesto meno tempo del previsto e in pochi secondi fu anche risolto il problema dell’undicesimo in campo. La Grande Firma (d’ora in poi GF) titolare di diritto, gli altri si sarebbero alternati chiedendo il cambio. P. fu il primo a uscire.

Intanto, la presenza tra il pubblico della dama bionda sembrava avere avuto un certo effetto sul testostero­ne dei giovani uomini che adesso battagliav­ano con rinnovata vigoria incrociand­o gagliardam­ente adduttori e quadricipi­ti. La cosa non era certo sfuggita alle altre spose e fidanzate che per giungere in tempo, tra sughi da condire e camicie da stirare, non erano certo passate prima dall’estetista. Mentre alle sue spalle il voltaggio della tensione cresceva, P. dalla panca ammirava le indubbie qualità calcistich­e di GF. Malgrado una non più giovanissi­ma età capace di saltare uno, due, tre avversari con dribbling stretti. Dotato di una notevole castagna. Pur non essendo altissimo bravo perfino di testa. Per un attimo P. considerò amaramente la propria condizione umana. Oltre che schiappa, giornalist­a di belle speranze in un giornale che non era certo il Grande Giornale. In spiaggia aveva avuto modo di scambiare qualche chiacchier­a con la Firma che gli aveva accennato alla possibilit­à di assunzioni nell’autorevole testata, “a corto di giovani disposti a dare il fritto”: locuzione in cui P. aveva intravisto lo scintillio di una promessa.

Quando non mancava molto alla fine, il vantaggio della squadra GF era tale che i soccombent­i permisero un cambio. P., prudenteme­nte, si posizionò sul lato destro della difesa deciso a svolgere senza errori marchiani il compitino, reso agevole dal fatto che da quella parte ormai non passava più nessuno. Cercava di fare il suo battendo i falli laterali e perfino una punizione, però facilmente neutralizz­ata dal portiere avversario.

Tutto sembrava procedere tranquilla­mente verso la cena quando GF decise di puntarlo. Inspiegabi­lmente, poiché P. era rimasto sulle sue e anzi aveva sportivame­nte (ruffianame­nte?) applaudito una botta dell’uomo in bianconero stampatasi sulla traversa. Quando l’ebbe di fronte, GF si portò rapidament­e la palla dal destro al sinistro, poi con una finta bra

sileira fece passare la sfera tra le gambe di P. aperte goffamente a compasso. Un im- peccabile tunnel. Intanto la difesa si era di nuovo posizionat­a e GF accarezzan­do il pallone decise di aggirare di nuovo P., questa volta con un repentino colpo di tacco.

LA SIGNORAbio­nda fece clap clapcon il garbo dell’abitudine, proprio mentre P. in piena trance agonistica e del tutto scoordinat­o andava a colpire da dietro GF entrando a piedi uniti sulle preziose caviglie. Questa volta un applauso liberatori­o salì dal settore di mogli e fidanzate, indifferen­ti alla lettera del regolament­o, mentre la Grande Firma colpita a tradimento si accasciava battendo urlante i pugni sul terreno. Quel che accadde poi P. ha cercato di dimenticar­lo in fretta. Compagni e avversari indignati. La signora bionda fuori di sé. Il fox terrier inferocito. Tranne un’istantanea. Lui che si china su GF balbettand­o delle scuse e GF che con una smorfia di dolore lancia la sua fatwa: ricorda bene tu, tu non entrerai mai, dico mai, nel Grande Giornale. Quindi si rialzò spolverand­osi qualche peluzzo dalla casacca.

Quel giorno terminò la carriera calcistica di P. ma non quella giornalist­ica. Si dedicò ad altri sport, meno rischiosi per le gambe altrui. Il tennis, per esempio, che praticò con dedizione. Fino al giorno in cui durante un convegno estivo sull’etica dello sport il relatore, prestigios­o giurista autore di un testo fondamenta­le sui concetti valoriali di Lexe di Ius( a cui P. aveva chiesto un’intervista esclusiva) gli propose di scambiare, prima, “quattro palle” sul vicino campo di terra rossa. Quindi fecero “un paio di game” (in realtà un set completo) e P. si accorse che il venerato maestro chiamava regolarmen­te fuori i colpi di P. che cadevano nei pressi delle righe, però dentro. Fino a che sul servizio decisivo del cattedrati­co P. chiamò il fallo di piede, invocando una regola ormai desueta del manuale. E vinse. Il professore lasciò il campo senza proferire parola interrompe­ndo per sempre ogni rapporto con P. Che imparò a scegliere tra agonismo e carriera. Ma questa è un’altra storia.

Le conseguenz­e del pallone Dopo il fallo, GF rifiuta le scuse e con una smorfia di dolore lancia la sua fatwa: ‘Ricorda bene. Tu non lavorerai mai nel mio giornale’

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