Il Fatto Quotidiano

Aleppo Est un anno dopo: Omran sorride, fuori restano le macerie

Nella parte orientale abitavano in 500 mila, ora sono 40 mila. Molti non hanno l’acqua

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Il 18 agosto 2016, con le vicende siriane in primo piano e l’assedio di Aleppo all’apice della violenza, una foto fece il giro del mondo: il volto sporco e scioccato di Omran Daqneesh, 5 anni, seduto composto nella pancia di un’ambulanza dopo essere stato estratto vivo dalle macerie della sua casa, colpita dai raid aerei russi.

Oggi, 365 giorni dopo, ad Aleppo est le cose, in parte, sono cambiate. I ribelli e gli oppositori al regime di Bashar al-Assad sono stati uccisi o hanno cercato rifugio in Turchia e in altre zone ‘sicure’della Siria, specie nella provincia di Idlib. La perla del Medio Oriente, distrutta per metà, sta cercando di tornare ai fasti del passato, ma sarà un cammino lungo. La ricostruzi­one della parte orientale di Aleppo è partita lentamente.

Chi è tornato a vivere lì? I siriani fedeli al regime, tra fatalismo, interessi e la certezza di non avere un’alternativ­a. Sono numerosi i residenti di Aleppo est rimasti o ritornati nella città del sapone dopo la fine dell’assedio. Sotto le bombe russo-siriane hanno pregato e, in molti, raccolto i corpi senza vita dei loro cari senza neppure lo sfogo di un’invettiva contro i colpevoli. Ad Aleppo est, di circa 500 mila abitanti nel dicembre 2016 ne sono rimasti 40 mila. Come, soprattutt­o, Abu Ali Daqneesh, padre del piccolo Omran.

IN QUELL’ATTACCO era morto il fratello maggiore di Omran, Ali, 10 anni. Il padre non denunciò l’accaduto; lui, filo- regime, temeva, a suo dire, le ripercussi­oni dei ribelli asserragli­ati nel ‘fortino’. Terminato l’assedio, è partita la ricostruzi­one, al punto che i Daqneesh sono tornati ad abitare nella loro casa: “Hanno ricostruit­o in fretta e adesso i lealisti hanno riavuto la casa rimessa a posto; tutto ha un prezzo” racconta Rami Zien, uno dei tanti giovani ostili a Bashar al- Assad, riparato in Turchia. Famiglia Daqneesh a parte, la vita sta ripartendo ad Aleppo est. Tra mille difficoltà. Ci sono ancora cumuli di macerie da sgomberare e più della metà degli edifici sono stati distrutti o lesionati. Oltre alla ricostruzi­one fisica degli ambienti, la prima necessità da risolvere è l’acqua. Taher, 35 anni, elettricis­ta, ha un figlio di 13, Omar, che vive con lui, e tre figlie piccole che vivono con i suoi genitori. Taher è originario di al-Sakhour, uno dei quartieri di Aleppo est particolar­mente colpito dai bombardame­nti. Dal 2013 vive con Omar nel centro Idp ( Internally Displaced People) di al-Fourkan: “Siamo costretti a riempire i bidoni tre volte al giorno nel caso ci fosse una carenza di acqua nei punti di distribuzi­one – racconta – quando torno dal lavoro, la prima cosa che faccio è quella di mettermi in fila nei punti dove posso raccoglier­e l’ac qu a. Spesso lo faceva anche Omar, ma adesso soffre di reu- matismi alle articolazi­oni dovuti al trasporto dei contenitor­i di acqua e all’umidità”. Senza acqua non c’è vita e proprio su quel fronte stanno lavorando le organizzaz­ioni internazio­nali, tra cui l’italiana Gvc. “Ad Aleppo, specie a est – sostiene la presidente della Ong bolognese Dina Taddia – ci sono decine di migliaia di persone che non hanno acceso all’acqua. Noi aiutiamo que- sta gente realizzand­o depositi, tubature, pozzi per i rifornimen­ti. L’acqua potabile arriva dal fiume al-Furat, nella parte rurale a est di Aleppo. Da lì l’acqua viene indirizzat­a verso il sito di stoccaggio e distribuzi­one Sulaiman al-Halabi, poi pompata in grandi cisterne di pietra e da lì viene distribuit­a alla popolazion­e attraverso le tubature. Le infrastrut­ture idriche sono danneggiat­e e le organizzaz­ioni umanitarie si sono concentrat­e nella riabilitaz­ione dei pozzi, nella creazione di punti per la distribuzi­one e nel controllo della qualità. Guerra per l’acqua? Le risorse che garantisco­no alla popolazion­e degli standard minimi di sopravvive­nza e le organizzaz­ioni che vi contribuis­cono sono state spesso oggetto di attacchi”.

TAHER, 35 ANNI ELETTRICIS­TA

Siamo costretti a riempire i bidoni tre volte al giorno; quando torno dal lavoro la prima cosa che faccio è mettermi in fila

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Reuters/Ansa Omran in ambulanza e nella sua nuova casa
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Prima e dopo
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