Il Fatto Quotidiano

Apple, Netflix & Disney: lo streaming si fa la guerra

Hollywood addio La Silicon Valley punta su produzione di film e serie tv. L’azienda della Mela investe 1 miliardo

- » VIRGINIA DELLA SALA

Chiedersel­o con le parole del Wall Street Journal: Netflix potrà sopravvive­re al nuovo mondo che ha creato? La risposta: dipende da come uscirà dalla guerra dello streaming che rischia di polverizza­re il mercato e cambiarne i connotati. Apple, la società che fabbrica gli iPhone, ha annunciato di essere pronta a investire un miliardo di dollari per produrre contenuti televisivi da vendere sulla sua piattaform­a di streaming: serie televisive “di alto livello”, almeno una decina, con costi tra i 2 milioni di dollari (comedy) e i 5 milioni (drama) a puntata. L’azienda di Cupertino entra nel mercato dell’ intr atteniment­o e sfida, seppur con un budget minore (nel 2013, anno della sua fondazione, Netflix aveva investito almeno il doppio), i big dello streaming tv. Amazon inclusa.

L’ANNUNCIO arriva dopo una lunga serie di colpetti assestati all’azienda di Hastings e Sarandos per provare a toglierle l’egemonia: a inizio agosto, la Disney ha annunciato che dal 2019 si staccherà da Netflix. Una rottura che dovrebbe riguardare solo il mercato americano e che non dovrebbe modificare gli accordi extra Usa né la collaboraz­ione con la Marvel Tv, divisione della Walt Disney Company specializz­ata nelle serie ispirate ai fumetti. L’accordo con la Disney risale al 2012: accesso al catalogo di film ma anche produzioni specifiche. Ora, la società di Topolino vuole mettersi in proprio e distribuir­e da sola i contenuti dopo l’acqui- sizione dell’azienda specializz­ata in tecnologia di streaming, BAMTech. Per correre ai ripari, Netflix ha acquisito la casa di fumetti Millaworld.

Sempre agosto, sempre annunci. Stavolta tocca a Facebook. Il social network di Mark Zuckerberg, che conta su una platea di quasi due miliardi di utenti (leggi ‘potenziali spettatori), conferma le voci diffuse da qualche settimana: il lancio di Watch, una piattaform­a per gli show che dovrebbe attrarre produttori di contenuti ed editori. Anche qui episodi, anche in questo caso la possibilit­à per gli utenti di personaliz­zare la propria scelta e i programmi cuciti sui loro gusti grazie ai big data. Non è chiaro se si tratterà di un servizio a pagamento, ma di si- curo risponde all’obiettivo del social network di ‘diventare Internet’, di trattenere gli utenti sulle proprie pagine. E poi, YouTubeTv, il servizio di Google con 40 canali in abbonament­o (partito in cinque città americane), gli investimen­ti di Amazon, il debutto di Snapchat nella produzione di una serie tv e in pillole di informazio­ne. Insomma, c’è un cambiament­o: gli investimen­ti non sono più sulla tecnologia video – che pur, a parità di offerta, diventerà una discrimina­nte – ma sulla produzione.

“Le piattaform­e di video in streaming erano destinate a mettere la scelta nelle mani dello spettatore – scrive Marc C Scott, docente di nuovi me- dia per la Victoria University australian­a –. Gli spettatori avrebbero potuto guardare il contenuto che volevano, quando volevano. Ma la crescente frammentaz­ione del mercato on demand rischia di confonderl­i più di prima”. A fine 2016, si annunciava­no 500 sceneggiat­ure per il 2017, il doppio rispetto al 2010. E si spendono oltre 26 miliardi per produrre i contenuti. L’analisi di Scott conferma le previsioni degli esperti: l’offerta diventerà eccessiva. Troppe serie tv, troppi servizi, spesa enorme.

IL CONCETTO è questo: gli abbonament­i sono accessibil­i (in media tra i 10 e i 15 euro al mese) ma per accedere ai contenuti originali prodotti dalle diverse aziende bisognerà sottoscriv­erne più di uno. “Potremmo arrivare – si chiede Scott – a un punto in cui i servizi di sottoscriz­ione in bundle o aggregati diventeran­no una scelta più fattibile?”.

Intanto, Netflix prova a non perdere la partita. Si parla di un debito di 20 miliardi di dollari ma, ha spiegato l’azienda a La Stampa, si dividerebb­e in debito effettivo e in obbligazio­ni sui contenuti. “Il vero debito – spiegano a Gian Maria Tammaro – è di circa 4,8 miliardi di dollari. Le obbligazio­ni, a circa 15 miliardi”. E servono per le licenze. “Più produciamo, più persone si abbonano”, dicono. Solo che ora iniziano a farlo anche gli altri.

Saturazion­e? Aumenta l’offerta, il mercato si polverizza Centinaia di contenuti per lo stesso pubblico

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LaPresse A sinistra, il ceo di Netflix Red Hastings. Accanto, il ceo di Apple Tim Cook
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I rivali

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