C’era una volta il grunge degli Afghan Whigs
Invecchiare con tristezza
VEDEREnei negozi di dischi un cd datato 2017 con su il nome degli Afghan Whigs e dell’etichetta Sub Pop – la storica label indie che lanciò i Nirvana e il grunge – riporta indietro nel tempo, come faceva la madeleine per Proust. In “Spades” è la madeleine che gli appassionati di questo gruppo di nicchia e i curiosi possono gustare, per vedere l’effetto che fa. Un ritorno alle atmosfere degli anni ‘90, tra l’altro non le più bazzicate – si dice facessero grunge, ma in fondo erano unici, per attitudine spuria e quasi soul? In realtà mica tanto. Perché Greg Dulli e soci si fanno riconoscere, ma propongono un Lp piuttosto singolare. In “Spades”, cui ha collaborato il chitarrista Christopher Thorn degli ottimi e defunti Blind Melon e Patrik Keeler dei Raconteurs, è difficilmente definibile. Forse ha più piano che distorsore Big Muff, e offre sonorità mix di rock e di soul oscuro e malinconico. Intro singolare con archi, poi pezzi diversi sempre piuttosto misurati. Insomma, se c’era il grunge – mix di attitudine non solo pop ma punk, metal, psichedelica – qui si sente un po’ pochino. Restano fedeli alla loro causa, ma sono diventati altro. Si cresce, ci si intristisce, a meno che non si sia come Red Hot Chili Peppers o Rolling Stones. Almeno, qui, ancora non si sono suicidati. Allegria.