Il Fatto Quotidiano

Infarti non visti, attese infinite E si muore al pronto soccorso

Inemergenz­a Sintomi sottovalut­ati, codici errati, letti mancanti nel reparto, barelle scambiate, personale sanitario troppo impegnato e qualche volta “pigro”

- » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

Triage errati, casi sottovalut­ati, pazienti scambiati, sovraffoll­amento e assenza di posti letto per il ricovero. Poco personale e blocco del turnover. A volte anche personale poco attenti ai bisogni dei pazienti. Le cronache sono piene di notizie di persone che, giunte al pronto soccorso con qualche speranza, non trovano cure tempestive e muoiono. Casi rarissimi nel grande numero di accessi, ma comunque gravi.

Dopo quello di Loreto Mare, uno dei decessi più recenti è avvenuto al Sant’Orsola di Bologna il 23 gennaio scorso. Un uomo di 79 anni, Mario Dall’Olio, malato di leucemia, viene portato al pronto soccorso dai familiari alle 18.21. Il personale gli assegna un codice verde, “poco critico, assenza di rischi evolutivi, prestazion­i differibil­i”. Ha i valori glicemici nella norma, non desta preoccupaz­ioni. Verrà visitato 24 minuti dopo mezzanotte, ma peggiora e muore per insufficie­nza respirator­ia: “Non accuso l’ospedale della morte di mio padre, sapevamo che gli restava poco da vivere. I medici però lo hanno trascurato per sette ore”, affermava la figlia Laura. Il weekend prima alle emergenze dell’ospedale San Giovanni Evangelist­a di Tivoli (Roma), due anziani giungono in gravi condizioni. Dopo il triage, però, avviene uno scambio di barelle: chi doveva andare in rianimazio­ne va in chirurgia e viceversa. Entrambi sono deceduti.

DIVERSI, poi, sono i casi di infarti che non vengono riconosciu­ti: “Infarti, ictus e politraumi richiedono un tempo rapido per il trattament­o”, spiega Maria Pia Ruggeri, presidente della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza. All’ospedale di Saronno all’inizio di novembre un 36enne egiziano, Mohamed Ibrahim Elsayed, arrivato con dei forti dolori al petto, si è visto assegnare invece un codice verde. Pochi minuti dopo il suo cuore si è fermato. Infarto fulminante: “Lo hanno lasciato morire, continuava a dire che aveva dolore al petto, sudava e non respirava, ma nessuno lo ha visitato”, ha dichiarato la moglie. Stessi sintomi, ma codice giallo - “mediamente critico, presenza di rischio evolutivo, possibile pericolo di vita” - per Pietro Colletta, 75enne arrivato al pronto soccorso del “Sant’Antonio Abate” di Trapani deceduto a metà febbraio 2015. I medici erano impegnati ad assistere tre malati di ipertensio­ne, due dei quali cardiopati­ci. Cinque le ore di attesa di Marianna Governale, 80 anni, portata al pronto soccorso dell’ospedale “Ingrassia” di Palermo dove il triage non era in funzione. Accusava dolori al braccio e al patto, aveva un infarto. È deceduta nel dicembre 2006.

Dopo i decessi iniziano le indagini interne e quelle penali per omicidio colposo. Per una negligenza si può essere condannati, anche se poi, a volte, la prescrizio­ne annulla tutto. È successo a un infermiere responsabi­le del triage del “Pertini” di Roma, la cui condanna è stata annulla nel marzo scorso. Aveva classifica­to come codice verde un uomo portato dall’am bu la nz a con codice giallo, uno che poi non è stato controllat­o per ore. Morto per infarto anche lui, il 22 ottobre 2008, ma troppi anni fa: reato prescritto.

“CI SONO poi i casi dei malati che restano al pronto soccorso in attesa di un posto letto nei reparti specifici – spiega ancora Ruggieri –. Non possono essere abbandonat­i, i medici e gli infermieri del pronto soccorso devono accudirli”. In certi casi, però, l’attesa è fatale. Il 16 dicembre 2016 all’ospedale Rummo di Benevento, Rocco Laudato, cinquanten­ne di Casalduni, è morto dopo tre giorni su una barella. Aspettava un letto al “Veneziale” di Iserna Maria Cristina Melloni, 61enne morta il 12 gennaio 2016 al pronto soccorso dopo quattro giorni di attesa. Attendeva un posto nel reparto malattie infettive anche un sieroposit­ivo arrivato il 2 settembre 2013 al pronto soccorso di Salerno, ma in quattro ospedali non c’erano letti: è spirato il 3 settembre, mezzora prima che si liberasse un posto letto.

Dalla Cassazione spunta anche un caso non mortale, ma grave, quella di un medico del pronto soccorso di Gemona del Friuli che, invitato dalle infermiere a visitare una donna con una spalla fratturata, “non prestava le dovute cure ‘perché a quell’ora si era da poco messo riposare’”.

“Il pronto soccorso è un riferiment­o per i cittadini, è aperto a tutti, tutti i giorni a tutte le ore – spiega Tonino Aceti, coordinato­re dei Tribunale per i diritti dei malati con Cittadinat­tiva –. I cittadini hanno molta fiducia nel pronto soccorso, ma bisogna permettere a queste strutture di lavorare al meglio”.

A Tivoli (Roma) Dopo il triage lo staff ha invertito i lettini Così due anziani sono deceduti

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Ansa Prima linea Nei pronto soccorso delle grandi città si moltiplica­no gli incidenti mortali
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