Mafia, largo ai giovani: arrivano i baby boss
Nella relazione della Dia la trasformazione dei clan: investono in hi-tech
Boss
anziani affiancati o addirittura sostituiti da giovani leve che puntano su imprese innovative e ad alto contenuto tecnologico. Quella che emerge dalla relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia è la mafia 2.0, il ricambio generazione di Cosa nostra, ’ndrangheta, camorra e criminalità organizzata pugliese.
BABY BOSSche “investono capitali” in quei settori che “sino ad oggi sono stati apparentemente esclusi dalla sfera di interesse delle mafie”. Il report della Dia parte dalle 32 operazioni eseguite nel 2016 e che hanno portato all’arresto di 152 soggetti, al sequestro di beni per 210 milioni di euro e alla confisca di patrimoni per 6 milioni di euro. Con le dovute differenze, tra le varie mafie, un capitolo particolare è quello della ’ndrangheta. “Metabolizzate le conoscenze tecniche ed i meccanismi di mercato - dice la relazione – le nuove generazioni criminali hanno maturato capacità manageriali che, favorite dalla elevata scolarizzazione, consentiranno operazioni finanziarie ed economiche sempre più complesse, anche in settori innovativi”. Con l’indagine “Alchemia”, infatti, ci sono i primi segnali dell’interesse delle cosche della Piana di Gioia Tauro “ad investire anche nel settore delle lampade a led”. Nell’inchiesta “Reghion”, invece, è emerso come le ’ndrine volevano investire in società ad alto contenuto tecnologico, operanti nei settori dell’alluminio e della gestione dei servizi idrici e di depurazione”.
In Sicilia la situazione è diversa: la Commissione provinciale di Cosa nostra è impossibilitata a riunirsi perché tutti i componenti sono detenuti. Al suo posto una sorta di “cupola anomala” composta anche da figli d’arte, che “non sempre godono di unanime riconoscimento”. Baby boss “impulsivi e spregiudicati, incapaci di calcolare le conseguenze delle loro decisioni”. Ecco perché le famiglie “devono ora fare ricorso ai consigli di anziani e uomini d’onore chiamati a sopperire, con il loro carisma, ai giovani inadeguati”.
Situazione simile, in Campania dove la relazione del capo della Dia di Napoli, Giusep- pe Linares, traccia un quadro inquietante con “l’a b ba s s amento dell’età degli affiliati e dei capi, con la trasformazione dei clan in ‘gang’, più pericolose per la sicurezza pubblica. Vanno quindi affermandosi nuove compagini, che agiscono con particolare violenza e sfrontatezza”.
Barbe lunghe e folte, tatuaggi autoreferenziali: gli investigatori assistono a “un’identità comunicativa” che caratterizza tanti “piccoli eserciti” che non hanno, però, una vera e propria “identità criminale”.