Il Fatto Quotidiano

Bankitalia, l’ispettore cieco sui crac bancari fa carriera

Distrazion­i Scardone, l’uomo di Visco, ha setacciato prima il Monte dei Paschi (senza segnalare il derivato Alexandria), poi il gruppo guidato da Zonin ( gli sono sfuggite le “operazioni baciate”)

- » CARLO DI FOGGIA E GIORGIO MELETTI

■ Nel 2013, quando ha lasciato Palazzo Koch, Giampaolo Scardone è diventato direttore generale della Carim. Tra le sue sviste il costoso derivato Alexandria di Siena e le operazioni “baciate” di Zonin

Dopo 35 anni passati alla vigilanza è stato nominato direttore generale alla Carim Con un maxistipen­dio

Giampaolo Scardone, da due anni direttore generale della Carim (Cassa di Risparmio di Rimini), è un banchiere molto apprezzato. Nel 2016 ha preso 505 mila euro per occuparsi di una banca con attivi patrimonia­li 280 volte inferiori a quelli di Unicredit. Guadagna più del presidente della Bce Mario Draghi, più del governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco, il doppio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Essendo la Carim da anni in crisi nera, tanto che è in corso un oneroso salvataggi­o “di sistema” a beneficio del gruppo francese Crédit Agricole, lo stipendio del 61enne Scardone dev’essere sintomo di una profession­alità irrinuncia­bile. Ha fatto l’ispettore alla Banca d'Italia per 35 anni fino all’ 1 luglio 2013, quando è stato assunto a Rimini come vicedirett­ore generale. Ha svolto in carriera una cinquantin­a di ispezioni, ma sono le ultime due a valere il prezzo del biglietto.

Dal 27 settembre 2011 al 9 marzo 2012, ha guidato l’ispezione Bankitalia sulla liquidità del Monte dei Paschi di Siena. Di fronte alla reticenza degli ispezionat­i, non ha scoperto il derivato Alexandria con cui il boss di Mps Giuseppe Mussari aveva azzoppato la banca per finanziare la disastrosa acquisizio­ne dell’Antonvenet­a. Il 28 maggio 2012, Scardone ha intrapreso l’ispezione della Banca Popolare di Vicenza. Studiando le gesta del presidente Gianni Zonin per quattro mesi e mezzo, il pur esperto ispettore è stato nuovamente ostacolato dagli ispezionat­i e non ha potuto scoprire che l’istituto era minato dal cancro del capitale finanziato, in gergo “operazioni baciate”. Se n’è accorta la Bce nel 2015, quando il buco si era allargato a oltre un miliardo e la Popolare Vicenza era spacciata.

IL CASO SCARDONE illumina la singolare capacità degli ispettori di Bankitalia di farsi sistematic­amente gabbare dai banchieri. Toccherà alla Commission­e parlamenta­re d’inchiesta sciogliere il dilemma: lo schema “guardie disarmate e ladri furbi”, a cui allude la Banca d’Italia con denunce per ostacolo alla vigilanza alle procure di mezza Italia, serve a coprire tacite intese tra banche e Vigilanza? Andrà verificata un’ipotesi: le banche, incoraggia­te dalla stessa Banca d’Italia, fanno i numeri a colori negli anni di boom della finanza facile (2002-2007); quando la crisi presenta il conto, la vigilanza, in nome della stabilità, chiude un occhio sulle irregolari­tà e sollecita i banchieri in difficoltà a rattoppare il patrimonio anche vendendo dosi da cavallo di obbligazio­ni subordinat­e ai piccoli risparmiat­ori; e comunque a rinviare i problemi affidandos­i a Santa Ripresa. Solo che la ripresa, attesa per il 2011-2012, non è arrivata. E oggi nelle procure e nei tribunali si recita sempre lo stesso copione: gli ispettori giurano di essere stati ingannati da banchieri felloni, gli imputati giurano e spergiuran­o che la Vigilanza sapeva tutto.

Il 2 dicembre 2013, pochi mesi dopo aver lasciato Bankitalia per la Carim, Scardone è chiamato a testimonia­re al processo contro Mussari. La vicenda è complicata. Ci sono due operazioni, legate all’acquisto di titoli di Stato italiani per miliardi di euro, fatte lo stesso giorno e con coincidenz­e inequivoca­bili: la Consob sospetta che si tratti di un derivato con la Nomura (la celebre operazione Alexandria) e chiede alla Banca d’Italia di approfondi­re, perché se è un derivato (Cds) contiene perdite implicite che possono mettere a tappeto la banca. Scardone non ha dubbi, e ritiene che “l'equiparazi­one nella sostanza, piuttosto che nella forma, a un Cds era parsa l’unica soluzione plausibile”. A formalizza­re che le due operazioni erano unite in un unico strumento, appunto un Cds o derivato, era il mandate agree

ment, contratto tra Mps e Nomura che però Mussari aveva secretato e che fu trovato nella cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni un anno dopo l’ispezione di Scardone. Mussari è stato condannato a tre anni e mezzo per aver celato a Scardone, con il mandate

agreement, la perdite incorporat­e nelle due operazioni. Mussari l’ostacolo alla vigilanza l’ha sicurament­e commesso. L’ispettore si fa ostacolare. Pur avendo capito che si trattava di un derivato spiega in tribunale: “Guardi, quello che mancava e che abbiamo provato a ottenere era una prova provata che le due operazioni andassero insieme”. Se avesse avuto la prova provata, Scardone avrebbe chiesto a Mps di registrare a bilancio le perdite dell’operazione, che invece venivano spalmate fino al 2034. Ma, dice Scardone al tribunale di Siena, in mancanza del mandate agreement è una cosa “che non ci siamo sentiti di contestare perché oggettivam­ente era fondata su valutazion­i di tipo esperienzi­ale”, e“non c’erano i presuppost­i di oggettivit­à”.

L’ispezione di Scardone si

svolge nel 2011, nelle settimane cruciali della caduta di Berlusconi e della nascita del governo Monti, dell’inse diamento di Mario Draghi alla Bce e della complicata scelta del suo successore alla Banca d’Italia. Chissà come sarebbe cambiata la storia se fosse esplosa la bomba Montepasch­i, che invece è deflagrata quindici mesi dopo, solo quando sul Fatto Marco Lillo ha rivelato il mandate agreement.

A VICENZA INVECE Scardone non si è accorto che la banca di Zonin si ricapitali­zzava prestando ai soci i soldi per sottoscriv­ere il capitale. Sentito dalla Guardia di Finanza il 16 luglio 2015, quando l’ispezione Bce aveva finalmente scoperchia­to tutto, l’ormai ex ispettore è stato chiaro: “Durante l’ispezione non abbiamo accertato l’esistenza di un simile fenomeno come pratica diffusa e ricorrente”. Risentito il 3 febbraio 2016 a proposito delle "lettere di riacquisto", l'impegno della banca di ricomprare in breve termine le azioni sottoscrit­te da importanti clienti, Scardone ha specificat­o: “Escludo che esponenti della Popolare Vicenza con cui si è relazionat­o il gruppo ispettivo [ne] abbiano comunicato durante l’ispezione 2012 l’esistenza”. E ha aggiunto che quel tipo di operazioni hanno un tale rilievo “che necessaria­mente la banca avreb-

Gli sceriffi di Palazzo Koch l’anno scorso hanno bussato alla Cassa di Rimini che perde il 30% della raccolta: “Tutto ok”

be dovuto farne comunicazi­one nell’ispezione”. Ma solo un matto che commette l’irregolari­tà per salvare la banca si autodenunc­ia alla Banca d'Italia. Soprattutt­o però, solo un matto finanzia così un quinto del capitale dalla banca sperando che la Vigilanza non se ne accorga.

A questa storia manca un pezzo, come suggerisce la reazione dei dirigenti della Popolare di Vicenza messi sotto accusa. L’ex vicedirett­ore generale Paolo Marin ha detto di aver consegnato al team di Scardone “una lista – che io e i miei collaborat­ori abbiamo a più riprese discusso con loro – dei principali soggetti affidati”, cioè i dossier creditizi dei 30 maggiori clienti, nei quali si potevano leggere “operazioni baciate per 234 milioni”.

Gli inquirenti ritengono che durante l’ispezione le “baciate” ammontasse­ro a 280 milioni, per balzare a fine 2012 a 545 milioni. Scardone e i suoi, pur avendo setacciato 367 pratiche di fido per 3,8 miliardi, non hanno “accertato” niente.

Dopo queste due ispezioni non del tutto trionfali, Scardone ha coronato la carriera di ispettore di grandi banche con la direzione di una piccola banca. Neppure nella trincea operativa ha avuto molta for-

tuna, a parte lo stipendio. La Carim era stata commissari­ata nel 2010 per gravi irregolari­tà e conti scassati. I due commissari designati dalla Banca d’Italia, Piernicola Carollo e Riccardo Sora, si sono trovati indagati insieme agli ex amministra­tori della banca, per aver ricomprato da alcuni soci azioni per circa 10 milioni di euro, “a un prezzo illecitame­nte maggiorato”, subito prima e subito dopo il commissari­amento. Carollo e Sora sono stati archiviati nel 2015 (dopo che Sora era stato spedito dal governator­e Visco a commissari­are Banca Etruria) grazie a una lettera della stessa Banca d'Italia che spiegava ai magistrati come i commissari “possano, nell’immediatez­za dell'avvio della procedura, dar seguito a delibere già assunte dagli organi societari laddove valutino che decisioni di segno contrario potrebbero ingenerare allarme nella clientela, con possibili conseguent­i repentini peggiorame­nti del profilo di liquidità”. Insomma, i due hanno salvato la Carim da un “procurato allarme” e da una “corsa agli sportelli”. Lo stesso fatto per i commissari “non costituisc­e reato”, per gli altri sì.

Né Carollo e Sora, né in seguito Scardone hanno però salvato la Carim dal precipizio. Dopo oltre due anni di commissari­amento, il 30 settembre 2012 la Carim si è tro- vata con le sofferenze (crediti inesigibil­i) cresciute dal 3 al 9 per cento degli impieghi e la raccolta diretta scesa da 3,8 a 3 miliardi. Quattro anni dopo, nel 2016, la raccolta diretta è a quota a 2,4 miliardi: come effetto dell'intervento della Banca d'Italia è scomparso oltre un terzo dei depositi. Le sofferenze lorde sono balzate dal 9 al 20 per cento. Al momento del commissari­amento Carim aveva 392 milioni di patrimonio netto, sceso all'uscita dal commissari­amento a 259: al 31 dicembre 2016 è precipitat­o a 161, in tutto fa meno 60 per cento. È l'ennesimo caso in cui l'intervento della Banca d'Italia non ha portato bene a una banca.

GLI UOMINI DI VISCO sono andati l'anno scorso a ispezionar­e nuovamente la Carim, cioè il loro ex collega Scardone. E, secondo il festoso comunicato della banca, sono rimasti contenti: l'ispezione, conclusa “senza l'applicazio­ne di sanz i on i ”, “conferma la piena continuità e operativit­à della Banca, vitale e radicata sul territorio, con importanti prospettiv­e di evoluzione industrial­e”. E pensare che ai mai contenti l'unico dato positivo sembra lo stipendio di Scardone: una banca che perde un terzo della raccolta più che nel territorio sembrerebb­e radicata nella fossa.

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Il governator­e di Bankitalia, Ignazio Visco. A destra, la sede di via Nazionale
Ansa Il segugio Il governator­e di Bankitalia, Ignazio Visco. A destra, la sede di via Nazionale
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È stato ispettore di Bankitalia per 35 anni, fino all’1 luglio 2013 quando è diventato direttore generale della Carim
GIAMPAOLO SCARDONE È stato ispettore di Bankitalia per 35 anni, fino all’1 luglio 2013 quando è diventato direttore generale della Carim
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È stato per decenni il dominus incontrast­ato di Popolare Vicenza
GIANNI ZONIN È stato per decenni il dominus incontrast­ato di Popolare Vicenza
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GIUSEPPE MUSSARI L’ex numero uno di Mps affossò la banca con l’operazione Antonvenet­a
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I. Visco Ansa
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