“Barcellona non ha voluto proteggere le sue Ramblas”
Agente dei Mossos de Esquadra, la polizia catalana, rivela: “Non era impensabile essere nel mirino dopo gli attacchi in altre città”
Iquattro superstiti della cellula catalana dei terroristi islamici, ieri, sono apparsi dinanzi al magistrato. Interrogato da un giudice della Audiencia Nacional, Mohamed Houli Chemal ha confermato che il primo obiettivo del gruppo di Ripoll era colpire con una bomba la Sagrada Familia e fare una strage. L’imam Abdelbaki Es Satty voleva immolarsi in questo attentato.
Si potrebbe immaginare soddisfazione in chi ha contribuito a smantellare la rete jihadista. Invece, c’è frustrazione fra molti agenti dei Mossos de Esquadra, la polizia catalana. A confermarlo uno di loro, che parla in via anonima.
“Il governo catalano non ha un servizio di intelligence. Recentemente avevamo compiuto un'operazione con diversi arresti contro una serie di affiliati e fiancheggiatori dello Stato Islamico” dice, ricordando come la collaborazione tra autorità catalane e spagnole in materia di antiterrorismo non sia la migliore. La municipalità di Barcellona non aveva voluto adottare misure di protezione sulle Ramblas: “Dopo gli attentati in altre città, soprattutto dopo quello di Berlino, si sapeva dei possibili rischi”.
Rabbia e speranza “Siamo senza 007 e non saremo mai abbastanza addestrati, ma la gente ha capito che siamo i buoni”
Il fratello maggiore del giovane che inizialmente sembrava essere alla guida del van, il cui percorso assassino è stato bloccato grazie all'innesco dell'airbag che ha bloccato il motore, è stato fermato dai Mossos de Esquadra, ma non perché si era presentato per “costituirsi”.
“È stato arrestato con delle ragioni”, precisa l'investigatore, che racconta della sua sofferenza per aver letto sui giornali che il bambino australiano – del quale era stato ricomposto il cadavere – era stato indicato fra i sopravvissuti, almeno per qualche ora.
“SAPEVO che era morto e non capisco come mai si sia diffusa la notizia che era in cura in ospedale”. Ripercorrendo le ore concitate sulla Rambla, e la caccia al terrorista il poliziotto ricorda. “Ci siamo guardati, i miei colleghi e io, e ci siamo chiesti se saremmo tornati a casa. Non saremo mai addestrati a sufficienza per operazioni di questo genere”, ammette. Paura, sì: ha avuto paura. Come tutti. Di fronte a gente che non dà alcun valore alla vita: né a quella degli altri, né alla propria. Pronta ad uccidere o farsi saltare in aria. Ma c’è spazio, in questo racconto a ritroso, anche per un sentimento di gratitudine.
“Le persone ci hanno fatto capire di essere con noi – conclude –. Hanno capito che siamo noi i buoni. E che siamo anche bravi: abbiamo smantellato una cellula in pochi giorni. Ci hanno aiutato a individuare il killer della Rambla e ci hanno ringraziato. Ci hanno applaudito. Allora, oggi mi sento di dire: combattiamo assieme questa battaglia di civiltà. Non so poi se e cosa cambierà. La Rambla è affollata come prima e, ho letto, solo il cinque per cento dei turisti ha disdetto le camere prenotate in albergo. Dunque penso: quelli che spargono odio, quelli secondo i quali vanno uccisi tutti gli infedeli all'Islam, non vinceranno”.