“Casa Italia”: stanziati 25 milioni ma servono almeno 37 miliardi
scatola vuota di Renzi e il marasma del governo Gentiloni
■ Il professor Giovanni Azzone ha consegnato a Palazzo Chigi il conto della messa in sicurezza del Paese: 36,8 miliardi solo per occuparsi delle emergenze, 850 per fare al meglio
Dolore per # Ischia. Dobbiamo correre di più su # CasaItalia. Ma oggi intanto GRAZIE ai soccorritori: chi salva tre bambini, salva il futuro” twittava Matteo Renzi alle 3 e 02 del pomeriggio del 22 agosto. A 18 ore dalla prima scossa di Casamicciola, aveva già l’aria di dire “ci avevo visto ancora una volta giusto e se mi avesse dato retta non saremmo a questo punto”. Purtroppo “Casa Italia”, la gioiosa macchina organizzativa che avrebbe dovuto mettere in sicurezza le case degli italiani, immaginata dall’a rc hi te tt o Renzo Piano quasi in una visione onirica all’indomani del terremoto di Amatrice e fatta sua dall’ex premier in numerosi altri tweet, è rimasta subito senza benzina.
L’ARCHISTAR GENOVESE aveva annunciato il suo progetto quando Matteo Renzi aveva fatto visita al suo studio pochi giorni dopo il sisma di Amatrice e illustrato poi in aula al Senato dal progettista del Beaubourg, nella sua veste di senatore a vita, il 29 settembre successivo. “Questo patrimonio di 10 milioni di edifici può essere messo in sicurezza” spiegava accorato ai senatori. Quali le soluzioni concrete? Piano ne indicava soprattutto due: la diagnostica avanzata e i cantieri leggeri. E i costi? L’architetto genovese non entrava nel dettaglio “ma sono soldi che possono essere trovati facilmente nei bilanci di ogni anno e che rientrano immediatamente in circolazione: è come dare ossigeno, perché sono microfinanziamenti, microimprese, microcantieri. C’è anche bisogno di una macroimpresa, una grande organizzazione, ma sono soldi che rientrano immediatamente”. E Renzi davanti a lui applaude incantato. Qualche giorno prima aveva firmato il Dpcm di nomina della “struttura di missione” di Casa Italia che aveva come fiore all’occhiello la consulenza dello stesso Piano e nella figura di coordinamento e del project manager l’ex rettore del politecnico di Milano, Giovanni Azzone.
Ma quella che già da allora l’ex presidente del Consiglio aveva pompato come “una visione per la casa in Italia che sia capace di affermare la cultura della prevenzione” si è tradotta finora solo in 10 prototipi, finanziati con 25 milioni di euro. Eppure “il progetto del governo per mettere in sicurezza il Paese” che secondo Renzo Piano si deve pagare da sé, a parole aveva viaggiato subito spedito. Il 3 novembre il premier Renzi annuncia in un incontro al Politecnico di Mi- lano la trasformazione della struttura in un dipartimento della Presidenza del Consiglio. “Per la prima volta Palazzo Chigi mette in piedi una struttura tecnica - sottolinea enfaticamente il premier - che deve andare oltre i governi, deve mettere ordine tra i dati, anche quelli del passato in modo sinergico, è la scommessa di questo post terremoto”.
IL 13 DICEMBRE Gentiloni nel discorso di insediamento alla Camera conferma l’avvenuto passaggio di testimone: “Dalla qualità della ricostruzione dipende la qualità del futuro di una parte rilevante del territorio dell’Italia centrale e da questi passi che faremo dipende anche la forza che avremo nel programma a lungo termine su Casa Italia, che interviene sugli elementi più profondi dei danni che vengono provocati dagli eventi sismici nel Paese”. Il 2 febbraio in conferenza stampa, messo davanti al nulla di fatto, Gentiloni si trova nella necessità di ribadire: “Quel progetto non solo non l’abbiamo accantonato ma lo valorizzeremo”. Niente di nuovo fino al 14 marzo quando sempre il premier di turno, in occasione della presentazione delle Giornate del Fai, annuncia per la seconda volta la trasformazione di Casa Italia in dipartimento di Pa- lazzo Chigi. “Abbiamo messo dei soldi in bilancio” garantisce Gentiloni, senza meglio precisare quanto. I conti sull’impegno finanziario necessario perché Casa Italia finisca di essere l’Araba fenice che la propaganda renziana sfodera regolarmente davanti a morti e crolli in occasione dell’imprevedibile, ma certo, prossimo evento sismico, li ha fatti finalmente il professor Azzone. E li ha presentati in un ricco rapporto consegnando le chiavi il 22 agosto a Roberto Marino, il capo del nuovo dipartimento di Palazzo Chigi che dopo un anno di gestazione ha visto la luce proprio l’altro ieri. La messa in sicurezza dell’Italia costerebbe tra i 36,8 e gli 850 miliardi, a seconda delle tipologie di costruzione che si vogliono risanare, puntualizza Azzone. La cifra minima di 36,8 miliardi si riferisce ai soli edifici in muratura portante che si trovano nei 648 comuni ritenuti a maggior rischio sismico. Il conto sale a 46,4 miliardi se si includono le costruzioni in cemento armato realizzate prima delle norme sismiche del 1971 e a 56 miliardi se si allarga il perimetro a quelle realizzate fino al 1981. Il costo è stato stimato in 400 euro a metro quadro per un’abitazione di 110 metri quadrati. Anche l’economia ne beneficerebbe di gran lunga, ma chi paga? Il governo ha due possibilità più o meno combinabili tra loro: il finanziamento pubblico diretto o l’idea di rendere obbligatoria per legge, (ipotesi evidentemente molto più impopolare) a tutti gli edifici privati del fascicolo di fabbricato, con le spese di adeguamento a carico dei condomini. Ci si sta pensando. L’obbligo del fascicolo entro il 31 dicembre 2017 è già previsto in un disegno di legge presentato a giugno al Senato e firmato dai senatori di Sinistra italiana, Corradino Minneo, Loredana De Petris e Giovanni Barrozzino, Walter Tocci e Erica D’Adda del Pd e da Hans Berger (Svp).
Solite promesse L’ex premier dopo Amatrice: “Dieci milioni di case fuori dal rischio sismico”
Chi paga?
Il finanziamento pubblico o rendere obbligatorio il fascicolo di fabbricato