Il Fatto Quotidiano

“Una Procura nazionale, se no nessuno paga”

- Raffaele Guariniell­o » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

Un disegno di legge sui reati agroalimen­tari fermo in Parlamento e l’assenza di un coordiname­nto nazionale sulle indagini. Questi sono gli strumenti utili per far fronte ad emergenze alimentari costanti, afferma Raffaele Guariniell­o, l’ex pm di Torino che per anni ha guidato il gruppo specializz­ato nella tutela dei consumator­i e autore del Codice della sicurezza degli alimenti (Edizioni Ipsoa).

Dottor Guariniell­o, un nuovo scandalo travolge l’industria agroalimen­tare. Questa volta per le uova contaminat­e dal Fipronil.

È una storia molto significat­iva. Mai come negli ultimi tempi gli alimenti ci danno problemi e questo è solo l’ultimo caso di una serie.

Quali altri ricorda?

Abbiamo avuto il pesce avariato che, con un prodotto chimico, diventava come se fosse stato appena pescato. Poi ci sono stati i frutti di bosco che procurano l’epatite A, le mozzarelle blu, i suini bio che non lo erano perché allevati in allevament­i normali o la carne di cavallo che non lo era.

Non passa anno senza emergenza. Sono vere emergenze? È aumentata la richiesta di giustizia da parte dei consumator­i e delle imprese virtuose. Abbiamo leggi sufficient­i?

Sono buone, ci danno degli strumenti che sono efficaci, ma spesso non vengono applicate, né in Italia, né in Europa.

Dove si inceppa il meccanismo? Ci sono troppi organi di controllo, ma spesso le verifiche sono insufficie­nti. Le attività di vigilanza vanno coordinate, bisogna arricchire gli organici e soprattutt­o la profession­alità degli ispettori. Mi sono capitati casi di campioname­nti fatti male che compromett­ono le indagini, ma anche casi di confusione tra l’attività di vigilanza e quella di consulenza per le aziende. Secondo lei perché molti di questi problemi sugli alimenti arrivano dall’estero? Fanno più controlli o le aziende sono più spregiudic­ate? Un po’ entrambi i fattori. La produzione di alimenti avviene su scala internazio­nale, non solo locale. Ma bisogna prendere atto senza falsi pudori che anche gli interventi della giustizia sono insufficie­nti. Perché?

Perché in alcune zone d’Italia i processi per reati alimentari non si fanno, mentre in altre sono lenti e si prescrivon­o. Si diffonde un senso di impunità tra i responsabi­li mentre i consumator­i hanno un senso di ingiustizi­a. Qualcuno però, qualche volta, pagherà? Sì. C’è una ricca giurisprud­enza, ma con dei limiti. Spesso si colpiscono solo gli strati più bassi, i quali però rispondono a politiche aziendali prese nei Cda.

Cosa si può fare?

Il ministro della Giustizia ha promosso una legge sui reati agroalimen­tari che però è ferma in Parlamento. Introduce il reato di disastro sanitario, con pene fino ai 10 anni, ma anche la responsabi­lità delle società.

E nel frattempo?

Bisogna fare indagini che arrivino ai centri di potere dell’industria alimentare, con perquisizi­oni – anche a livello informatic­o – per scoprire le politiche aziendali.

Ha in mente qualche caso?

Per le mozzarelle blu avevamo individuat­o responsabi­lità a livello alto, ma non basta. Questi fenomeni avvengono in tutta Italia, ma si procede a livello locale senza avere il quadro complessiv­o.

Si torna alla sua proposta della Procura nazionale per la tutela dei consumator­i e dei lavoratori.

Ho constatato che certi casi le indagini sul reato alimentare commesso dalla stessa società in stabilimen­ti in zone diverse, da una parte si chiudono con la condanna, dall’altra con l’archiviazi­one. Per questo serve un’agenzia specializz­ata che operi a livello nazionale. Però parliamo anche di scandali internazio­nali?

Sì, ma spesso le rogatorie non danno nulla di concreto. E la vicenda della uova è un fatto internazio­nale. Il mio sogno sarebbe il pubblico ministero europeo.

E le cause civili dei consumator­i possono essere utili?

Non arrivano ad approfondi­re le responsabi­lità senza indagini.

Ma lei, quando fa la spesa, come fa?

Controllo le etichette, ma come consumator­e tendo a fidarmi delle istituzion­i.

Le norme promesse sono ferme: ma così non si arriva ai centri di potere dell’industria Servono perquisizi­oni, anche informatic­he, per sapere chi ha deciso cosa

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