“Una Procura nazionale, se no nessuno paga”
Un disegno di legge sui reati agroalimentari fermo in Parlamento e l’assenza di un coordinamento nazionale sulle indagini. Questi sono gli strumenti utili per far fronte ad emergenze alimentari costanti, afferma Raffaele Guariniello, l’ex pm di Torino che per anni ha guidato il gruppo specializzato nella tutela dei consumatori e autore del Codice della sicurezza degli alimenti (Edizioni Ipsoa).
Dottor Guariniello, un nuovo scandalo travolge l’industria agroalimentare. Questa volta per le uova contaminate dal Fipronil.
È una storia molto significativa. Mai come negli ultimi tempi gli alimenti ci danno problemi e questo è solo l’ultimo caso di una serie.
Quali altri ricorda?
Abbiamo avuto il pesce avariato che, con un prodotto chimico, diventava come se fosse stato appena pescato. Poi ci sono stati i frutti di bosco che procurano l’epatite A, le mozzarelle blu, i suini bio che non lo erano perché allevati in allevamenti normali o la carne di cavallo che non lo era.
Non passa anno senza emergenza. Sono vere emergenze? È aumentata la richiesta di giustizia da parte dei consumatori e delle imprese virtuose. Abbiamo leggi sufficienti?
Sono buone, ci danno degli strumenti che sono efficaci, ma spesso non vengono applicate, né in Italia, né in Europa.
Dove si inceppa il meccanismo? Ci sono troppi organi di controllo, ma spesso le verifiche sono insufficienti. Le attività di vigilanza vanno coordinate, bisogna arricchire gli organici e soprattutto la professionalità degli ispettori. Mi sono capitati casi di campionamenti fatti male che compromettono le indagini, ma anche casi di confusione tra l’attività di vigilanza e quella di consulenza per le aziende. Secondo lei perché molti di questi problemi sugli alimenti arrivano dall’estero? Fanno più controlli o le aziende sono più spregiudicate? Un po’ entrambi i fattori. La produzione di alimenti avviene su scala internazionale, non solo locale. Ma bisogna prendere atto senza falsi pudori che anche gli interventi della giustizia sono insufficienti. Perché?
Perché in alcune zone d’Italia i processi per reati alimentari non si fanno, mentre in altre sono lenti e si prescrivono. Si diffonde un senso di impunità tra i responsabili mentre i consumatori hanno un senso di ingiustizia. Qualcuno però, qualche volta, pagherà? Sì. C’è una ricca giurisprudenza, ma con dei limiti. Spesso si colpiscono solo gli strati più bassi, i quali però rispondono a politiche aziendali prese nei Cda.
Cosa si può fare?
Il ministro della Giustizia ha promosso una legge sui reati agroalimentari che però è ferma in Parlamento. Introduce il reato di disastro sanitario, con pene fino ai 10 anni, ma anche la responsabilità delle società.
E nel frattempo?
Bisogna fare indagini che arrivino ai centri di potere dell’industria alimentare, con perquisizioni – anche a livello informatico – per scoprire le politiche aziendali.
Ha in mente qualche caso?
Per le mozzarelle blu avevamo individuato responsabilità a livello alto, ma non basta. Questi fenomeni avvengono in tutta Italia, ma si procede a livello locale senza avere il quadro complessivo.
Si torna alla sua proposta della Procura nazionale per la tutela dei consumatori e dei lavoratori.
Ho constatato che certi casi le indagini sul reato alimentare commesso dalla stessa società in stabilimenti in zone diverse, da una parte si chiudono con la condanna, dall’altra con l’archiviazione. Per questo serve un’agenzia specializzata che operi a livello nazionale. Però parliamo anche di scandali internazionali?
Sì, ma spesso le rogatorie non danno nulla di concreto. E la vicenda della uova è un fatto internazionale. Il mio sogno sarebbe il pubblico ministero europeo.
E le cause civili dei consumatori possono essere utili?
Non arrivano ad approfondire le responsabilità senza indagini.
Ma lei, quando fa la spesa, come fa?
Controllo le etichette, ma come consumatore tendo a fidarmi delle istituzioni.
Le norme promesse sono ferme: ma così non si arriva ai centri di potere dell’industria Servono perquisizioni, anche informatiche, per sapere chi ha deciso cosa