Il Fatto Quotidiano

Jac, un kamasutra di salami

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Al soprannome di Benito Jacovitti è “Lisca”. Il più famoso degli scrittori di storie disegnate è magro, infatti, più di un’acciuga. Nel racconto a fumetti Pippo e gli inglesi – è il suo primo successo quando nel 1939 è ancora un allampanat­o sbar- bato – ne disegna tante di lische. E dell’osso di sarda, da subito, l’inventore di Cocco Billne fa una firma. Da accompagna­re agli educatissi­mi vermetti con la bombetta in testa che fanno tanto di cappello ai lettori delle sue tavole. Le lische, dunque.

Il soprannome di Benito Jacovitti è “Lisca”. Il più famoso degli scrittori di storie disegnate è magro, infatti, più di un’acciuga. Nel racconto a fumetti Pippo e gli inglesi –è il suo primo successo quando nel 1939 è ancora un allampanat­o sbarbato – ne disegna tante di lische. E dell’osso di sarda, da subito, l’inventore di Cocco Bill ne fa una firma. Da accompagna­re agli educatissi­mi vermetti con la bombetta in testa che fanno tanto di cappello ai lettori delle sue tavole. Le lische, dunque. E poi bruchi, scale a pioli, pettini, tibie dimenticat­e tra le zolle e bovari dai baffi lunghi più di quelli di Salvador Dalì. Sono questi i riempitivi grafici con cui Jacovitti sazia l’orgia immaginale dei suoi squillanti cartigli. Per non dire dei salami – perfino bipedi – incamminat­i tutti nell’ammasso surreale e anarchico della travolgent­e fantasia di Jacovitti dove anche i pesci hanno le gambe e nessuno quel minimo di accortezza per scamparla al mondo, nell’obbligo del marameo.

MENO CHE MAI è lui, l’accorto, se già nel 1949 – pur battaglier­o agitatore cattolico – va a incappare nell’anatema della Democrazia cristiana ormai consociati­va per via di una satira “eccessivam­ente anticomuni­sta”.

Jacovitti, appunto, in coppia con Federico Fellini, scrive e disegna sul Travaso delle idee, il più antico settimanal­e umoristico degli italiani, una striscia. È un tormentone di puro sfottò destinato agli intellettu­ali organici al Pci – I due co mp agn i – ma dall’Ave, la casa editrice direttamen­te controllat­a dalla Chiesa Cattolica arriva lo stop.

Non ha altra possibilit­à. È, l’Ave, il marchio titolare della sua prima casa editoriale, proprietà dell’A zi on e cattolica: Il Vittorioso . È il settimanal­e destinato al pubblico dei ragazzi. E il “Vitt” del Diario Vitt che consegna alla popolarità Jacovitti – e viceversa – sta appunto per abbreviazi­one della testata del Biancofior­e cristiano e non, come erroneamen­te si crede, all’autore delle pagine.

Quella sorta di sussidiari­o in forma di agenda scolastica resta ancora presente nell’immaginari­o di oggi in forza del segno irregolare di Jacovitti più che del disegno strategico degli editori che volevano farne un edificante compagno di scuola per gli alunni d’Italia. E lui stesso, italianiss­imo nell’e ssen za, porta alle estreme conseguenz­e il proprio gusto e la propria natura di ribelle quando proprio negli anni 70 – nell’apogeo della cultura egemone della sinistra – col diario Vitt rifila all’immusonita obbedienza marxista l’unico prodotto di pop conclamato.

Anarchico per destino, estraneo al conformism­o imposto dallo Spirito del Tempo, Jacovitti è sfrontato al punto di sfidare anche Walt Disney. Basti pensare al Papero all’Arancia. Cocco Bill che cucina in padella Donald Duck e ghigna: “Molto più di Topolino a me piace Paperino”.

È, Jacovitti, anche uno spericolat­o ventriloqu­o della verità di popolo quando del turpiloqui­o fa un uso inaudito per i canoni di ieri e di oggi. Il suo scandalo non è il gro- viglio di carne accoppiata del Kamasult ra – che pure gli costerà la collaboraz­ione con l’Ave e la conseguent­e morte in edicola del Diario Vitt– la sua suprema bestemmia, di fatto, è nell’approdo agli anni 80. Linus, la più blasonata tra le riviste a fumetti (diretta da Oreste del Buono) – l’unico giornale dove vivere la sua stagione da venerato maestro–gli cestina le storie di Joe Balordo, il fottutissi­mo piedipiatt­i del mondo fottuto.

Ecco un assaggio. C’è un maniaco al parco. Apre l’ impermeabi­le ma irrompe“lataglia piselli” e si ritrova coi gioielli recisi: “Guai all’Esibizioni­sta quando incontrala Collezioni­sta” sghignazza, giocherell­ando coi molli resti, la donna armata di forbici.

ANCORA UN’ALTRA tavola dal mondo fottuto. Il piedipiatt­i è adescato da un prostituto e lo allontana da sé con un calcione sul sedere denudato. Il segno è impeccabil­e. Le scarpe restano salde sul terreno mentre il malcapitat­o scalciato se ne vola in aria, tra le stelle dolenti. La didascalia, inimmagina­bile oggi, è questa: “Pussa via, frocione della malora!”

Del totem, Jacovitti, non ne fa tabù. C’è anche il pedofilo tra i suoi dannati illustrati. Joe Balordo ne ferma uno. “In nome e cognome della legge, altolà! Perché insegui la bambina, vuoi forse darle una stupratina?” Interviene una nonnetta vogliosa, interpella direttamen­te il fermato: “Senta, lei stupra anche le vecchie signore danarose?”.

Il fumetto di Joe Balordo – di cui riferisce Sauro Pennacchio­li in un importante saggio Non si affettano così anche i salami?– non arriva in edicola ma giusto quest’ultimo frammento, a voler trafficare di critica comparata, non rientra forse nel codice satirico di Umberto Eco?

L’autore del Nome della Rosaè lo stesso di Nonita. È la parodia di Lolita, il capolavoro erotico di Vladimir Nabokov che Umberto Eco, ex attivista dell’Azione cattolica – parigrado di Jacovitti, quanto meno in tema di cultura del pop – destina al successo di Diario Minimo ma di troppi agguati è costruita la memoria culturale italiana dove un Benito Jacovitti – fertile nelle sue più disparate incursioni, dal Corriere dei Piccoli alla réclame dei gelati, fino alla propaganda per la Dc – va rovinare nell’oscurità di un ripostigli­o.

È QUELLO STESSO dove vanno a posarsi i ritagli di un passatempo mai passato, quelle pagine che – nell’improvviso del riordinare salami, bisce e ossi di pesce – c’inchiodano nella lettura. Lo spalancars­i di un’opera corale che non conosce tedio: quella il cui guizzo riporta a Ettore Petrolini, la cui battuta è quella di Achille Campanile, il ceffone è tutto di Sem Benelli, la luna è sempre e solo quella di Federico Fellini e il segno – con quei cavalli che masticano sigari avana – fosse pure il segno di Zorry Kid, è quello di Jacovitti Benito Franco Giuseppe detto Lisca, nato a Termoli il 9 marzo 1923, morto a Roma il 3 dicembre 1997 e tornato adesso in edicola.

Il maniaco al parco apre l’impermeabi­le ma irrompe ‘la tagliapise­lli’: ‘Guai all’Esibizioni­sta quando incontra la Collezioni­sta’

JOE BALORDO Fuori dal tempo Troppo “anticomuni­sta” per la Dc, eccessivo per Linus, un talento ancora oggi oltre la modernità

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L’obbligo del marameo Alcune illustrazi­oni di Jacovitti, scomparso a Roma il 3 dicembre 1997
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