Trump è meglio di noi: “Niente diritti, nessun aiuto ad Al-Sisi”
Stop ai soldi Il presidente blocca fondi per centinaia di milioni di dollari al regime perché non ci sono progressi sui diritti umani
Nel mirino Usa Le nuove restrizioni del Cairo alle Ong e i rapporti con la “nemica” Corea del Nord
Prima, la documentata denuncia, sul quotidiano più autorevole, delle responsabilità del regime nell’uccisione di Giulio Regeni. Ora, il blocco di aiuti per 96 milioni e il congelamento di altri 195. L’Italia ha finalmente deciso di fare sul serio con l’Egitto? E l’ambasciatore rispedito al Cairo dovrà comunicare ad al-Sisi e alla sua cricca i provvedimenti adottati?
Ma no. L’Italia, tutti quei milioni da dare all’Egitto non li ha – anche se trattasi di dollari, non di euro –. Sono gli Stati Uniti di Donald Trump a punire il Cairo, causa carenza di progressi nel rispetto dei diritti umani e buoni rapporti con la Corea del Nord.
ANTICIPATA dalla Reuters, rilanciata al Jazeera, dettagliata dal New York Times, la mossa di Trump suscita sorpresa: il magnate presidente aveva riservato un’accoglienza calorosa alla Casa Bianca, l’aprile scorso, al generale al-Sisi, senza neppure sollevare nei colloqui il tema dei diritti umani. L’autoritario leader egiziano, giunto al potere con un colpo di Stato, appartiene alla genia d’uomini forti che a Trump tendenzialmente piace.
Proprio il New York Times, a Ferragosto, il giorno dopo l’inopinata decisione italiana di rispedire l’ambasciatore al Cairo, nonostante mandanti e autori del delitto Regeni restino ignoti e liberi a oltre 18 mesi dai fatti, pubblicò una documentata ricostruzione del se- questro, le torture, l’assassinio del giovane ricercatore, asserendo che gli Usa avevano dato all’Italia precise informazioni sulle responsabilità egiziane.
LA MOSSA dell’Amministrazione statunitense nei confronti dell’Egitto prescinde, probabilmente, dalla vicenda Regeni e arriva in un momento in cui la politica estera americana è essenzialmente affidata alle sanzioni: alla Corea del Nord, perché provoca con i missili e la ‘bomba ’; alla Cina, perché non è dura conPyo ng yang; allaRu ssia, per storie vecchie (l’Ucraina) e nuove (le ingerenze in Usa 2016); all’ Iran per i piani missilistici; al Pakistan – solo una minaccia, per ora – per le collusioni con i talebani.
E siccome il Vangelo non regola le relazioni internazionali, chi riceve uno schiaffo ne dà uno. Così, l’Egitto depreca le decisioni statunitensi, che avranno “effetti negativi sulle relazioni strategiche”. Il Cairo non prova neppure a negare le accuse e lamenta la mancata comprensione, da parte americana, della necessità di sostenere la stabilità in Egitto, un fattore “vitale”.
Come ritorsione, il ministero degli Esteri egiziano fa balenare che salti l’incontro previsto di al-Sisi con Jared Kushner, genero di Trump e suo consigliere per il Medio Oriente, appena giunto al Cairo. Ma poi il colloquio si svolge regolarmente. Kushner guida una delegazione in Medio Oriente per riavviare il processo di pace israelo-palestinese.
L’ atteggiamento degli Usa verso l’Egitto resta venato d’ambiguità: Washington desidera continuare a cooperare con il Cairo, considerato un alleato chiave e un cardine per la sicurezza della Regione; ma non vuole chiudere un occhio sull’entrata in vigore della nuova legge egiziana sulle Ong, che ne ostacola il lavoro e rafforza la repressione del dissenso. Secondo al Ja
zeera, gli americani pensavano che la legge non sarebbe stata applicata.