Il Fatto Quotidiano

OMICIDIO MANCA, SERVONO GIUDICI PIÙ CORAGGIOSI

- » ANTONIO INGROIA

Caro direttore, qualche settimana fa, in un’intervista al Fatto, Piercamill­o Davigo denunciava lo stato preoccupan­te in cui versa la magistratu­ra italiana, messa in ginocchio da una classe politica sempre più arrogante. Con la conseguenz­a di una evidente omologazio­ne di tante toghe, nel segno del carrierism­o e del conformism­o giudiziari­o improntato al criterio dell’intransige­nza nei confronti di chi non ha santi in paradiso e della prudenza verso i potenti. Insomma: forti coi deboli e deboli con i forti. Per i magistrati che si omologano, facili carriere. Per i disobbedie­nti solo ostacoli, anche a colpi di procedimen­ti penali e disciplina­ri.

COSÌ NELLA MAGISTRATU­RA che ama il quieto vivere ed una carriera garantita si è affermata la triste prassi di evitare soluzioni “pericolose”. Un caso emblematic­o è quello di Attilio Manca, di cui mi occupo come avvocato di parte civile dei familiari della vittima. Un caso scomodo, perché tocca il nervo scoperto della trattativa Stato-mafia, con la lunga scia di sangue che si è lasciata dietro. Riassumo brevemente la vicenda: Attilio Manca, un giovane medico siciliano, urologo molto apprezzato in servizio all’ospedale di Viterbo, venne trovato morto in casa sua il 12 febbraio 2004, col volto tumefatto, il setto nasale deviato, e due buchi nel braccio sinistro. Con una fretta immotivata, senza nemmeno considerar­e evidenze e contraddiz­ioni clamorose, la procura di Viterbo decise trattarsi di morte per over- dose e chiese l’archiviazi­one. Ricostruzi­one condivisa dalla giudice Silvia Mattei, che ha depositato qualche giorno fa le motivazion­i della sentenza con cui ha condannato la presunta spacciatri­ce, Monica Mileti, a cinque anni e 4 mesi di carcere. Nessun mistero, dunque: per la magistratu­ra Attilio Manca era un tossicodip­endente che una sera ha sbagliato dose. Eppure Attilio era mancino puro, per cui se si fosse iniettato qualcosa in vena i buchi si sarebbero dovuti trovare sul braccio destro e non su quello sinistro. Inoltre, sulle siringhe e sui tappi salva- ago, curiosamen­te rimessi a posto, non sono state rinvenute impronte. E poi ci sono le foto, inequivoca­bili, del corpo senza vita, trovato a letto con i segni evidenti di una violenta aggression­e. E le testimonia­nze dei colleghi dell’ospedale, secondo cui Attilio non era assuntore di droghe, e quelle di alcuni collaborat­ori di giustizia, che hanno dichiarato di aver saputo di un progetto per uccidere Manca al quale avrebbero comparteci­pato uomini di Cosa Nostra e dei “servizi deviati”. Tutti elementi incredibil­mente ignorati, tra manomissio­ni di prove, omissioni investigat­ive, depistaggi, insabbiame­nti, palesi incongruen­ze ed “errori enormi” nell’inchiesta, come li ha definiti la presidente della commission­e Antimafia Rosy Bindi. Ma perché non si vuole la verità? Perché è una verità troppo scomoda. Un omicidio di mafia e di Stato legato a doppio filo alla latitanza di Provenzano e in particolar­e all’intervento chirurgico alla prostata cui il boss si sottopose a Marsiglia nell’autunno 2003. Un omicidio da inquadrare nell’ambito della tragica trattativa Stato-mafia: Manca ucciso perché diventato testimone di un pezzo del mosaico dell’indicibile accordo fra mafia e Stato, responsabi­li della copertura di Provenzano. Ma certificar­e questa verità in un’aula giudiziari­a non aiuterebbe certo a fare carriera e anzi porterebbe solo rogne. Meglio evitare.

PARERE DI AVVOCATO

Il caso è legato alla latitanza di Provenzano e alla trattativa Stato-mafia In primo grado si è scelto di non vedere molte prove

LA FAMIGLIAMa­nca però non si arrende. L’appello è ora alla Procura nazionale antimafia perché si occupi del caso, ai magistrati romani perché non archivino l’indagine aperta, alla procura generale di Roma perché appelli la sentenza di Viterbo. C’è bisogno di una magistratu­ra che non pieghi le ginocchia, perché le prove che non fu una tragedia di droga ci sono tutte. E l’appello è soprattutt­o ai lettori de Il Fatto perché ci aiutino a impedire che si metta una definitiva pietra tombale sulla verità dell’omicidio Manca.

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