Il Jobs Act è contro il lavoro: lo scopre anche il governo
Norme fatte maleTimori per licenziamenti a gogò con lo stop agli sgravi, per assumere giovani con il nuovo bonus
Cosa accadrà nel 2018, una volta finiti gli incentivi alle persone assunte dal 2015 con il contratto a tutele crescenti? Tre anni fa, in pieno dibattito sul Jobs Act, quell'interrogativo collocava, chiunque lo ponesse, nel girone dei gufi. Pensare che le imprese avrebbero prima usato lo sgravio in maniera opportunistica per poi liberarsi degli stessi lavoratori, una volta concluso il bonus, non preoccupava Matteo Renzi, allora premier, né il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. La fiducia nella ripresa e nelle politiche attive messe in piedi dalla riforma generava ottimismo.
OGGI, QUELLA che era definita una “gufata” è invece un problema posto in cima all'agenda politica dello stesso governo, che teme un'ondata di licenziamenti nel 2018. Il motivo è che proprio il prossimo anno partiranno i nuovi incentivi per le assunzioni dei giovani (il che basterebbe per affermare che il Partito democratico riconosce implicitamente l’inefficacia del Jobs Act, altrimenti a che servirebbe un nuovo incentivo?). La paura è che il taglio al cuneo contributivo per l'occupazione degli under 32 (o forse under 29, lo si capirà in seguito) operi un semplice effetto sostituzione. Le aziende potrebbero mandare a casa il lavoratore preso tre anni prima – che da quel momento costerà molto di più in termini di oneri – e reclutare il giovane per risparmiare sui tributi. Tanto più in assenza dell'art. 18, che – sempre grazie al Jobs Act – permette di cavarsela con l'indennizzo economico. Per evitare il buco nell'acqua, si sta pensando di prevedere – per chi vorrà usare il nuovo bonus giovani – un divieto di licenziare 6 mesi prima e 6 mesi dopo la nuova assunzione. Ovviamente, alle imprese che invece non usino il bonus nulla vieta di mettere alla porta gli assunti nel 2015. “Che il Jobs Act tolga diritti ai lavoratori è la più grande opera fantasy mai sentita”, diceva Renzi a novembre 2014. Oggi quel racconto di fantascienza spaventa pure il Pd che sta pensando a come correre ai ripari. In molti, pochi mesi dopo l'insediamento dell'esecutivo Renzi, fecero notare i rischi nascosti dietro gli sgravi temporanei. Pier Carlo Padoan e Giuliano Poletti decisero comunque –
Che il Jobs Act tolga diritti ai lavoratori è la più grande opera fantasy mai sentita Tutele a singhiozzo Anche secondo il ministero
“gli ammortizzatori sociali sono più deboli” MATTEO RENZI Novembre 2014
nella legge di Stabilità 2015 – di puntare sulla decontribuzione non strutturale, sperando di ottenere un boom immediato di nuova occupazione, materia spendibile per vincere il referendum costituzionale di fine 2016. Con il taglio totale di circa 8 mila euro per lavoratore “stabile”, i contratti avviati sono stati 1,6 milioni. Nel 2016, con il contributo dimezzato, le attivazioni si sono ridotte di molto. Nei due anni di incentivi, il saldo positivo in termini di occupazione generale è stato di soli 400 mila posti e molti osservatori lo collegano più che altro alla crescita che interessa tutto il continente (e che da noi è più lenta della media). Secondo l'Istat, nell'ultimo trimestre del 2014 i disoccupati under 34 erano 1,7 milioni; nel primo del 2017, invece, sono arrivati a quasi 1,5 milioni. Malgrado la cancellazione dell'articolo 18, due anni di incentivi e il programma Garanzia Giovani, più di metà dei disoccupati ufficiali si annida ancora tra i più giovani. Eppure, nelle intenzioni di Renzi, il Jobs Act doveva aiutare proprio loro: “È un giorno atteso da un'intera generazione – disse l'allora premier all'approvazione – che ha visto la politica fare la guerra ai precari e non al precariato”. Parola, quest'ultima, che doveva essere consegnata al passato e invece è sempre più protagonista del presente: a giugno 2017 si è raggiunto il record storico di occupati a termine (2,7 milioni).
Accanto all'abolizione del reintegro per i licenziati senza giusta causa e la fine degli incentivi, c'è un altro fattore che rischia di far perdere posti di lavoro: la riduzione della cassa integrazione. Il Jobs Act ha deciso di limitare e rendere più costoso l'uso dell'ammortizzatore nelle crisi aziendali. Anche qui, si sperava che la ripresa economica migliorasse fisiologicamente le situazioni di difficoltà. Proprio la scorsa settimana, però, dal ministero dello Sviluppo economico hanno ammesso che si fa fatica a risolvere i tavoli di crisi, i quali non stanno diminuendo e si stanno protraendo nel tempo. Al mo- mento, sono 162 le imprese con trattative aperte, con 148 mila lavoratori interessati. “Il contesto degli ammortizzatori sociali è più debole – ha spiegato all'Ansa Giampietro Castano del Mise – e questo pone la prospettiva che ci siano licenziamenti”.
QUALCHE convinzione scricchiola anche sull'efficienza dell'altra gamba del Jobs Act: le politiche attive. Il governo ha fatto partire l'assegno di ricollocazione solo in via sperimentale per 28 mila persone che hanno perso il lavoro. La misura esclude tutti i disoccupati che non ricevono sussidi di disoccupazione (e che quindi versano in condizioni ancora più gravi) Risultato: tra gli invitati hanno aderito solo in 3 mila e anche dall'Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal) ammettono che si tratta di un dato troppo basso, dovuto a difetti nella comunicazione ma anche al fatto che la misura si rivolge a persone che, ricevendo l'assegno Naspi, hanno meno fretta di attivarsi. Tra quelli che lo hanno comunque fatto, tra l'altro, solo poche decine hanno davvero ritrovato un lavoro. Il governo sta quindi studiando come intervenire per risolvere una misura che si è rivelata non efficace. Pure qui, insomma, il governo si è implicitamente accorto di aver sbagliato, anche se non lo ammette.