Allahu Akbar, premiata ditta attentatori fai da te
In Iraq e Siria Daesh perde terreno, in Europa si affida al fanatico di turno per gioire: come a Londra, Bruxelles, Barcellona
Sono le 20.35 (ora di Londra) di venerdì. Un ragazzo, 26 anni, accosta la sua auto a quella di due agenti all’esterno di Buckingham Palace. In macchina ha una spada di un metro. I poliziotti intervengono per arrestarlo, lui grida Allahu Akbar, li ferisce lievemente, poi viene portato via e interrogato.
Un’ora prima, nel centro di Bruxelles, un trentenne di origine somala, armato di coltello, cerca di attaccare due militari anch’egli al grido “Allah è grande”. Viene ucciso.
Due “attacchi isolati”, spiegano gli investigatori. Ma a indagare sulle possibili matrici e affiliazioni è, in entrambi i casi, l’antiterrorismo.
L’IPOTESI è che si tratti di ennesimi esempi del “terrore fai da te”, al centro dell’attenzione degli studiosi dell’estremismo islamico in Occidente.
Nel settembre del 2014, Barack Obama annuncia la costituzione di una Coalizione Internazionale contro il neonato Califfato Isla- mico. Una settimana dopo, Abu Mohammed al Adnani, portavoce del Califfato, sposta l’offensiva in Occidente, chiedendo a tutti i jihadisti di lanciare attacchi “con armi da taglio e veicoli lanciati contro civili e militari in città e capitali”. Appello ascoltato: da allora, gli attacchi di questo tipo si so- no intensificati. Fra i più sanguinosi Nizza, Berlino, Londra, infine Barcellona, dove proprio ieri una marcia molto partecipata ha ricordato le 15 vittime della carneficina del 17 agosto sulle Ramblas.
Il rapporto Fear your Neighbor (Temi il tuo vicino) della Georgetown University con ISPI e l’ICCT di Le Hague, analizza i 51 attacchi islamisti in Europa, Stati Uniti e Canada dal 2014 al marzo scorso, dividendoli in tre catego- rie: quelli “commissionati” dall’Isis sono solo l’8% del totale; quelli portati avanti da individui senza alcuna connessione con Daesh, ma ispirati dal suo messaggio, il 26%; e quelli degli indipendenti, con qualche rapporto con lo Stato Islamico ma autonomi nella preparazione ed esecuzione il 66%.
“Temi il tuo vicino”
Gli specialisti: l’Isis non ha una rete internazionale, ma sfrutta l’informazione generalista occidentale
L’ISIS PERDE terreno, è di ieri la notizia che le truppe irachene hanno riconquistato anche il quartiere di Qala a Tal Afar, a ottanta chilometri da Mosul e la sconfitta militare del Califfato sembra inevitabile. Ma proprio per questo, secondo gli esperti, l’offensiva in Occidente durerà ancora a lungo e dovrà essere combattuta, da tutti, anche sul piano mediatico.
Da temere non è solo il rientro dei foreign fighters, ma la platea, potenzialmente vastissima, di adepti reclutabili o influenzabili online.
Un’arma cruciale dell’Isis è l’uso raffinato dell’information warfare, la guerra mediatica, pilastro della guerra santa e considerata più efficace delle bombe. Non solo competenze tecnologiche avanzate nella preparazione di vi- deo di propaganda e nella gestione di canali social, ma anche sfruttamento dei meccanismi dei media occidentali. Lo scrive Charlie Winter dell’In ternational Centre for the Study of Radi
calisation di Londra: “La propaganda del Califfato conta sul fatto che alcuni dei suoi messaggi circoleranno sui mezzi di informa- zione generalista occidentali, con lo scopo di ‘provocare gli infedeli’. I media devono resistere alla tentazione di produrre articoli acchiappa-clic, senza contesto, tratti dalla propaganda dello Stato Islamico, o corrono il rischio di diventare ignari strumenti dei suoi strateghi mediatici”.