Il Fatto Quotidiano

Rohingya, cannonate dal Nobel per la pace

Milizie opposte alle forze del governo di Aung San Suu Kyi, 100 mila civili in trappola

- » ROBERTA ZUNINI

Dopo

il crescendo di vessazioni brutali perpetrate negli ultimi cinque anni dai seguaci del monaco buddista birmano Ashin Wirathu, fondatore del movimento più nazionalis­ta- religioso del Myanmar, i musulmani Rohingya ora si trovano sotto le cannonate dell'esercito del Paese guidato dal Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Lo ha riferito l'agenzia France Presse dal posto, spiegando che i soldati hanno utilizzato mortai e mitragliat­rici nei pressi del valico di frontiera di Ghundhum, al confine con il Bangladesh, dove circa 100 mila civili sono intrappola­ti da venerdì a causa dei combatti- menti.

Secondo fonti attendibil­i ci sono numerose vittime tra coloro che stavano cercando di varcare il confine inseguiti dai militari. Una mossa disperata quella di cercare riparo in Bangladesh, visto che è stato il primo paese a scacciarli decenni fa dalla zona di mangrovie, dov’erano nati e vivevano pacificame­nte da generazion­i.

Ma i buddisti della giunta militare e ora San Suu Kyi non hanno mai riconosciu­to loro la cittadi- nanza né ipotizzato di concedere i più basici dei diritti: sanità e scuola gratuiti.

CON IL PASSARE degli anni le cose sono peggiorate. Case e attività bruciate, spedizioni punitive notturne, minacce di morte quotidiane hanno fiaccato negli anni anche il loro spirito di sopportazi­one. Il fatto che nella notte di giovedì, la milizia armata dell'etnia avesse per la seconda volta nel corso di quest'anno attaccato alcune stazioni di polizia e avamposti delle guardie di confine dimostra il fallimento della politica della non-accoglienz­a del Myanmar.

Fino a due anni fa non esistevano ancora milizie dell'etnia come l'Arakan Rohingya Salvation Army, che ha rivendicat­o gli attacchi giustifica­ndoli come azioni di risposta all'esercito, che a sua volta ha dichiarato che i mortai di ieri sono stati lanciati per rappresagl­ia. Nello scontro sono morti 12 agenti e 77 membri della minoranza. Ma la vendetta dei governativ­i è stata talmente dura da indurre perfino il dipartimen­to di Stato americano a lanciare un appello alla moderazion­e.

Quando due estati fa alcuni barconi fatiscenti, zeppi di bambini, donne e anziani della minoranza Rohingya vagavano da settimane alla deriva nel golfo del Bengala e delle Andamane in fuga dall'ennesima repression­e subita, l'Occidente impiegò molto ad accorgerse­ne.

Dovette morire annegato il piccolo Mohammed, fotografat­o riverso sulla battigia come il suo coetaneo Alan, il bambino curdo diventato il volto mediatico della tragedia siriana, per indurre l'Onu e le cancelleri­e della democratic­a Europa e degli Usa (ancora presieduti dal "giusto" Obama) a sollevare almeno un sopraccigl­io. Che si abbassò subito dopo che alcuni Paesi musulmani affacciati sulle acque cristallin­e delle Andamane accettaron­o di far approdare i barconi sulle loro coste e di stipare i profughi esausti nello spazio angusto di una boscaglia.

I Rohingya sono troppo pochi e miseri per essere presi in consideraz­ione persino dai loro fratelli di fede.

In fuga

Molte famiglie cercano riparo in Bangladesh, il Paese che per primo le ha mandate via

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Ansa Confine Un agente colpito
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